Una volta in quel di Sanremo (parliamo degli inizi degli anni ’90), pesava molto il voto della stampa specializzata – la cosiddetta ‘critica’ – che, nel bene o nel male, in virtù dell’assidua militanza nell’ambiente musicale, per la maggior parte delle volte riusciva da subito ad intercettare quello che poi sarebbe stato il gradimento ‘nazionalpopolare’ rispetto ad una singola canzone.
Poi, con il varo dell’accogliente salone sito sopra il Teatro Ariston, la grande disponibilità di postazioni, ha allargato la presenza dei media, come è giusto che sia, ospitando quindi anche i critici televisivi, i cronisti di gossip, e quanti addetti al ‘colore’, dando così la possibilità a giornali e riviste, di raccontare il Festival a 360°.
Questo però ha finito per relegare la figura del critico musicale, oggi ormai sovrastato da quello televisivo, condizionando in parte negativamente – e di molto – il giudizio complessivo espresso dalla sala stampa sanremese.
Un preambolo doveroso, per spiegare perché, a volte, il giudizio della ‘critica del Festival’ tende a perdersi, in primis dopo aver subito l’effetto di un brano – a seguito dell’impatto dello stesso nei social – poi, subendo inoltre il ‘condizionamento’ dettato dal carisma o meno dell’artista in questione.
Infine, cosa ‘fondamentale’, detta stampa ‘raramente’ acquista dischi – li riceve in omaggio – dunque, diversamente dal fruitore musicale comune, nemmeno si pone il problema della scelta in base al proprio budget: cioè, a quale artista darebbe priorità di acquisto a dispetto di un altro? Tuttavia, come dimostrato in questi giorni, nel bene o nel male, il voto della sala stampa finisce per avere un suo peso specifico ai fini della classifica finale.
Detto ciò, ‘professionalmente’, come deve porsi quindi un critico rispetto ad un brano inedito? Sicuramente, cosa che vale per ogni canzone, deve avere l’onestà intellettuale di ammettere da subito se – sempre a suo giudizio – ha elementi importati che lo distinguono da altri (testo, melodia, arrangiamento, interpretazione), in seconda battuta, creare di ‘capire’ anche la psicologia di chi lo presenta. Dunque, ‘caratterizzato’ il brano, si passa all’ascolto di un altro e così via.
‘Umanamente’, per quanto sbagliato, spesso si può inciampare nella tenerezza o nella simpatia rispetto ad un’artista, e questo se proprio influisce, si dovrebbe allora misurare con il carisma (o la personalità), che lo stesso è in grado di trasmettere.
Infine, è sempre bene misurasi – quando esiste – con il trascorso artistico di un interprete, misurandone l’evoluzione o meno, un eventuale ‘cambio di sonorità’, ecc. Il tutto sempre rapportato al genere musicale espresso, del quale è doveroso conoscerne storia ed interpreti.
Giustamente, come osservano in molti, se una canzone è bella funziona, altrimenti no. Vero, ma proprio perché Sanremo coinvolge anche tutta un’altra serie di fattori vincolanti (look, contesto, gestualità, ecc.), non sempre una canzone riesce ad aver la forza di imporsi per la sua sola capacità di ‘persuasione’.
Ecco perché, premessa inoltre la qualità lievemente peggiore rispetto a quelle dello scorsa edizione, stavolta è veramente difficile prevedere la vittoria di uno specifico brano, rispetto invece a quello che – soprattutto nelle radio – avrà maggior fortuna nei giorni a seguire dalla finalissima.
Se dovessimo basaci su tutta una serie di dinamiche che ormai da anni caratterizzano il Festival, il podio è abbastanza ‘prevedibile’: Elisa, Mahmood & blanco, e Gianni Morandi.
Diversamente, è altrettanto prevedibile che allo stesso modo, trainandoci verso l’estate, non potremo prescindere dalle note della Rappresentanza di Lista, di Irama, della coppia Ditonellapiaga e Rettore, e di Dargen D’Amico.
Così, premesso quanto ‘pronosticato’ sopra, ci piace più fare un’analisi dei brani in gara, che doverne predire il successo o meno che, come detto, è giustamente soggettivo.
Abbiamo quindi diviso gli artisti in ‘blocchi’ dove, per similitudini (di presenza, genere, o immagine), ne abbiamo studiato qualità e caratteristiche.
Il primo blocco vede Elisa, Mahmood & blanco, Highsnob & Hu. Ebbene, cosa unisce questi tre artisti così diverso fra loro? Semplice: il ‘pezzone’. Un brano di grande respiro, orchestrale, dove la voce ha un suo peso, ed il testo una precisa funzionalità.
Intanto è curioso vedere che giovani interpreti come Mahmood & blanco, e Highsnob & Hu, notoriamente molto più vicini ad un genere abbastanza moderno, abbiano scelto – rischiando – di misurarsi con canzoni di grande atmosfera, quasi mettendosi a nudo.
Elisa, che propri qui, 15 anni fa stupì tutti favorevolmente con la splendida ‘Luce’, per certi versi ‘delude’ in quanto, proprio per quelle che sono le sue straordinarie potenzialità, stavolta sembra quasi ‘voler vincere facile’, confezionando per la gara il ‘lento d’autore’, praticamente non rischiando nulla.
Tuttavia, come abbiamo spiegato sopra, oggi da solo il giudizio favorevole della stampa non basta: ricordate la vicenda di Ultimo?
Peccato perché Elisa è sicuramente una delle poche artiste in grado di poter osare sempre qualcosa in più rispetto agli altri…
Sanremo non può prescindere dai ‘senatori a vita’ che, nel segno della continuità, con la loro presenza incarnano anche un ruolo ‘istituzionale’, dovendo passare il testimone alle nove generazioni. Forse proprio per questo, meriterebbero di essere esclusi dalla gara: debbono solo esibirsi, tutte le sere, per ricevere il giusto omaggio dopo anni di carriera.
Ed eccoli quindi Iva Zanicchi, Gianni Morandi, e Massimo Ranieri, ciascuno con la sua storia, la propria carriera, e la comune passione di riuscire ancora oggi a credere nella musica, mostrando il coraggio di salire su questo glorioso palco per rimettersi in gioco.
Che dire? Grande rispetto ed onore per la coerenza di Ranieri e della Zanicchi i quali, senza troppi ‘grilli per la testa’, portano sul palco loro stessi con voci ed interpretazioni ancor oggi invidiabili. Discorso a parte per Morandi che, ok l’eterno ‘ragazzino’, ma a volte, come dire, ‘il troppo stroppia’. Attivissimo sui social, pur non avendo mai scritto una canzone (se non firmandone raramente qualcuna), ancora oggi – a ragione – è fra gli artisti più amati. In questa edizione porta sul palco una canzone di Jovanotti forse non troppo azzeccata: troppo ‘scontata’ per poter ambire all’energia di ‘Ciao mamma come mi diverto’, e non abbastanza allegra come ‘Banana, fragole e lampone’. Ma lui sa renderla ugualmente credibile…
Fra i tanti artisti che nella storia del Festival si sono esibiti sul palco dell’Ariston, un peso importante l’hanno avuto sempre i cosiddetti ‘diversi’. Artisti, cantautori i quali, attraverso l’ironia (da Fanigliulo a Rino Gaetano, passando per Ivan Graziani e Stefano Rosso, ecc.), o la grande atmosfera (Malepasso, Mia Martini, Minghi, Drupi, Mariella Nava, Faletti, ecc.), sono riusciti a segnare un’edizione con la loro semplice presenza.
In questo caso segnaliamo l’ottimo Yuman, che porta un brano di grandissima atmosfera, cantato benissimo, probabilmente ‘penalizzato’ dall’arrangiamento troppo ‘italico’. Chissà che effetto avrebbe fatto se suonato più fusion, stile George Benson o Al Jarreau…
L’altro è indubbiamente Giovanni Truppi, già ‘on the road’ da diversi anni, soprattutto all’interno di circuiti musicali off. Peccato che, nonostante si trovi in un contesto ‘naif’ come quello di Sanremo, l’attenzione generale sia andata a cadere più sulla sua canotta, invece che su un far musica di grandissima personalità.
Artisti validissimi del calibro di Fabrizio Moro, Noemi, Le Vibrazioni, Emma, e Giusy Ferreri, proprio in virtù della loro rodata esperienza (un po’ come per Elisa), ‘hanno il dovere’ di riuscire ogni volta di provare ad andare oltre. Ecco, ascoltando questi bravi artisti, stavolta la sensazione è che abbiano affrontato il Festival con il freno a mano tirato.
Fabrizio Moro (come l’automobilista di Gioele Dix) ‘eternamente incazzato’, stavolta non graffia mentre, forse ‘penalizzata’ (caso più unico che raro) dal forte dimagrimento, Noemi (che porta sul palco una canzone che sembra non appartenerle), non riesce più a rinverdire quella grinta e, soprattutto, la grande vocalità che l’ha invece caratterizzata nei suoi splendidi inizi di carriera.
Se le Vibrazioni, sempre grande band, stavolta volgono un po’ troppo lo sguardo al formato canzone, anche Emma commette l’errore di calarsi eccessivamente nei panni della grande interprete, pur avendo da sempre grossi problemi autorali (raramente casa belle canzoni) oltretutto, la generosa cantante partenopea commette anche l’autogol di farsi dirigere dalla Michielin (altro bel ‘rebus musicale’), distogliendo l’attenzione degli ascoltatori.
Infine Giusy Ferreri che, al contrario della sua consueta grinta, appare quasi ‘svogliata’, limitandosi a dare voce ad una ballad, che finisce per avvolgersi su se stessa non esplodendo mai. E dire che Giusy avrebbe le carte in regola per dare corpo alle bellissime vocalità che ci ha lasciato un artista internazionale del calibro di Emy Winehouse.
Eccoli i lavoratori’, quali che salgono sul palco sapendo di doversela sudare. Forse Ana Mena riesce a distinguersi dagli altri due, grazie ad un brano in parte ammiccante, che potrebbe funzionare in versione video. Tannai (richiesto esperto di suoni e tastiere) e Rkomi danno invece l’idea di esser venuti per saggiare l’aria e, soprattutto, misurarsi con loro stessi. Serve ancora tempo
E’ la categoria ‘incontaminata’, quella composta da differenti individualità che, nonostante la giovane età, mostrano già di avere personalità. ‘Colorati’ ed allegri, Sangiovanni, Matteo Romano, Michele Bravi, ed Aka 7even, rappresentano il cuore della manifestazione, sono il perfetto anello di congiunzione fra l’istituzionalità del Festival, ed il disincanto del nuovo far musica. Veramente bravi ed interessanti.
Ironici, intelligenti e, soprattutto istrionici, artisti come Ditonellapiaga e Rettore, Achille Lauro, Rappresentante di lista, Dargen D’Amico, ed Irama, rappresentano la benzina della gara. Guai senza di loro, sarebbe il ‘mortorio’.
Straordinariamente camaleontici, sempre pronti a resettare e a ripartire, i due della Rappresentante di lista coinvolgono tutti con una ‘smarty-fusion’ ammiccante: il ‘ciao con il culo’ (un tempo impensabile), è lo slogan di questa 72ima edizione, top. Cassa in quattro per una dance d’atmosfera stile Donna Summer (‘I feel love’), Ditonellapiaga e Rettore portano su palco grinta, colore ed allegria, che rappresentano da sempre il valore aggiunto.
Con Dargen D’Amico non solo si balla ma, abbacinati dal colore delle sue mise, si riesce anche a pensare. Infine Achille lauro che, finalmente, non deve più dimostrare niente a nessuno: lui è questo, spettacolare, irriverente, teatrale, e con un cuore grande come tutto il teatro.
Max