(Adnkronos) – In occasione dell’incontro “La prevenzione che sta a cuore. Malattie cardiovascolari e colesterolo nei pazienti ad alto rischio: agire prima, in modo intensivo e efficace, per ridurre la mortalità”, svoltosi a Milano alla vigilia della Giornata mondiale del cuore 2022 (29 settembre), è stata presentata l’indagine realizzata da Swg per Sanofi, nella quale si analizza il tasso di consapevolezza e conoscenza riguardo alle malattie cardiovascolari e alle conseguenze dell’ipercolesterolemia.
Andrea Rizzi, Medical Head General Medicines di Sanofi Italia, pone l’accento sull’impegno concreto che la società mette nell’opera di sensibilizzazione relativamente alle patologie cardiovascolari: “In Sanofi siamo quotidianamente impegnati nello studio di soluzioni terapeutiche innovative e programmi per il miglioramento della qualità di vita e della sopravvivenza dei pazienti con malattie cardiovascolari. In Sanofi siamo al fianco delle associazioni che rappresentano i pazienti e della classe medica, per contribuire a ridurre drasticamente l’impatto in termini di mortalità e qualità della vita che le malattie cardiovascolari hanno ancora oggi, offrendo non solo risposte concrete in termini di cure e terapie e di gestione in ambito di prevenzione secondaria – con particolare attenzione ai pazienti ad alto rischio – ma anche occasioni di confronto e riflessione utili alla sensibilizzazione e all’informazione dell’opinione pubblica”.
I dati emersi dall’indagine – condotta tramite la compilazione di un questionario online da parte di un campione di 1.202 cittadini italiani di età compresa tra i 45 e i 74 anni – rappresentano un’occasione preziosa per riflettere sui passi da compiere per migliorare concretamente la salute dei cittadini e la loro predisposizione alla prevenzione, poiché i numeri legati all’impatto delle patologie cardiovascolari in termini di mortalità sono ancora allarmanti.
Il 34,8% dei decessi nel nostro Paese è imputabile a malattie cardiovascolari e parte di essi potrebbe essere evitabile con un’adeguata prevenzione e una solida aderenza terapeutica, come spiega Emanuela Folco, presidente Fondazione italiana per il cuore (Fipc): “Nel nostro Paese, oltre 1 decesso su 3 è imputabile alle patologie cardiovascolari, prima causa di morte sia per gli uomini (31,7%) che per le donne (37,7%). Chi sopravvive a un attacco cardiaco diventa un malato cronico. La malattia modifica la qualità della vita e comporta notevoli costi economici per la società. In Italia, la prevalenza di cittadini che vivono con invalidità cardiovascolare è pari al 4,4 per mille. Questo – ha proseguito Folco – è in parte attribuibile all’aumento dell’aspettativa di vita, con una popolazione sempre più anziana e quindi ‘fragile’, nonché alla prevalenza dei fattori di rischio cardiovascolare, tra cui ipercolesterolemia. Dopo quasi tre anni di pandemia, vediamo ancora oggi come la percezione generale sia che le patologie cardiovascolari non occupino i primi posti tra le malattie da temere, dato in contrapposizione con quello che vediamo nella vita di tutti i giorni dove la mortalità per cause cardiovascolari occupa i primissimi posti”.
“Oggi è l’occasione per ribadire, ancora una volta, l’importanza di sensibilizzare il cittadino e il paziente a prendere a cuore la propria salute cardiovascolare a partire dalla prevenzione primaria, sottolineando come sempre la necessità di adottare corretti stili di vita e una sana alimentazione, ma anche e soprattutto secondaria laddove sia presente una condizione patologica che necessita di una presa in carico da parte dello specialista. Inoltre – ha concluso la presidente – l’aderenza terapeutica rappresenta un aspetto fondamentale: il paziente deve proseguire l’assunzione dei farmaci indicati dallo specialista con scrupolo e costanza, rispettando tutte le indicazioni e non sospendendo la terapia una volta intravisti i primi risultati positivi”. Preoccupa anche la scarsa consapevolezza del ruolo cruciale giocato dall’ipercoleserolemia nell’insorgere delle patologie cardiocircolatorie.
Oltre il 40% degli intervistati, infatti, sottovaluta i rischi legati ad alti livelli di colesterolo, mentre circa 1 su 3 ritiene che il rischio di mortalità legato all’ipercolesterolemia debba preoccupare solo chi ha problemi cardiaci pregressi. Il 20% del campione non conosce i rischi derivanti da alti livelli di colesterolo, mentre per il 42% il controllo del livello del colesterolo dipende solamente dalla dieta alimentare e dall’attività fisica, trascurando quindi l’efficacia terapeutica.
E ancora, meno di 1 su 2 (il 43% del campione) sa che è il colesterolo Ldl ad essere dannoso per la nostra salute. Giuseppe Ciancamerla, presidente dell’Associazione Conacuore, spiega: “Occorre superare il preconcetto che il colesterolo si combatta solo con la dieta. È chiaro che questo possa aiutare, ma l’ipercolesterolemia è una patologia, si chiama aterosclerosi, e va trattata con l’aiuto di uno specialista. Per questo occorre che i pazienti siano sempre più sensibilizzati sulla necessità di conoscere i vari tipi di colesterolo e i loro valori ottimali con l’aiuto delle carte del rischio, facili da leggere, e che correggano uno stile di vita non adeguato. Ancora di più se si parla di paziente ad alto rischio cardiovascolare, al fine di mantenere l’aderenza alla terapia e quindi contrastare la mortalità. Un evento traumatico sulla salute come un infarto può infatti avere effetti fisici, ma anche emotivi, devastanti. In alcuni casi, lo specialista ricopre un ruolo cardine perché chiamato a valutare il coinvolgimento di altre figure, attraverso un approccio multidisciplinare, per una presa in carico globale del paziente ad alto rischio”.
Il 92% degli intervistati afferma che i problemi cardiocircolatori possono essere evitati con la prevenzione. A questa consolidata convinzione, però, non corrispondono azioni concrete: solo per il 17% del campione, infatti, è opportuno eseguire periodicamente visite di controllo, mentre solamente il 31% si è sottoposto ad una valutazione del rischio cardiovascolare negli ultimi 12 mesi.
A non poter però sottrarsi a controlli regolari sono, più degli altri, i pazienti ad alto rischio cardiovascolare che rappresentano, in base alle linee guida internazionali, la vera e urgente priorità nell’ambito degli interventi preventivi. Lo sottolinea nel suo intervento il Professor Ciro Indolfi, presidente della Società italiana di cardiologia (Sic): “Il tema della prevenzione è di grande importanza per tutti noi, ma diventa cruciale quando si parla di paziente ad alto rischio cardiovascolare: chi è stato colpito da un evento cardiovascolare, infatti, corre un rischio elevato di andare incontro ad un nuovo infarto o Ictus negli anni successivi. Eventi che potrebbero essere sensibilmente ridotti – come ricordano le recenti linee guida della Società europea di cardiologia – se venissero sempre più implementate le strategie di prevenzione secondaria”.
“Proprio nella direzione di un trattamento precoce e rapido – ha aggiunto Indolfi – va l’abbassamento delle soglie di colesterolo Ldl per l’accesso ai nuovi farmaci anti-colesterolo Pcsk9, recentemente pubblicate in Gu da Aifa. Evidenze scientifiche dimostrano come il colesterolo Ldl sia causa delle patologie cardiovascolari, non un fattore di rischio, e come la sua riduzione, pertanto, rappresenti uno degli obiettivi principali per limitare eventi cardiovascolari quali l’infarto miocardico e contrastare la mortalità. Infatti, le linee guida della Società europea di cardiologia – ha concluso Indolfi – suggeriscono in prevenzione secondaria livelli di colesterolo Ldl inferiori a 55 mg/dl e, in alcuni pazienti particolarmente a rischio, livelli di Ldl-C ancora più bassi e inferiori a 40 mg/dl. Questi obiettivi così ambiziosi possono essere oggi raggiunti grazie agli inibitori della proteina Pcsk9, capaci di ridurre del 60% il livello di colesterolo Ldl, dimostrando un chiaro beneficio clinico nei pazienti con elevato rischio cardiovascolare. Un cambio di rotta, quello avviato per la prima volta in Italia rispetto ad altri Paesi europei, per la prevenzione secondaria delle malattie cardiovascolari”.
Il paziente ad alto rischio cardiovascolare ha subìto uno o più eventi cardiovascolari ed è un paziente cronico che come tale va trattato. Sebbene sia spesso in terapia con farmaci orali come le statine ed ezetimibe, continua a registrare alti livelli di colesterolo Ldl. Per questo la sua gestione rappresenta oggi una delle principali complessità per i Sistemi sanitari nazionali, come evidenzia Giuseppe Di Tano, dell’Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri (Anmco): “Per una corretta e appropriata presa in carico e gestione dei pazienti con malattia cardiovascolare nota ad elevato rischio di eventi occorre mettere in campo diverse azioni, anche attraverso una più efficace sinergia tra cure primarie, ospedale e territorio. Il controllo dei fattori di rischio attraverso un intervento farmacologico incisivo e precoce, il monitoraggio costante delle condizioni cliniche, la sensibilizzazione del paziente, del suo ambito familiare-sociale e del caregiver sull’importanza dell’aderenza alla terapia e alle norme di stile di vita consigliate, sono elementi fondamentali in grado di contrastare il rischio di andare incontro a un nuovo episodio cardiovascolare”.
“Come nella prevenzione primaria, anche in quella secondaria è fondamentale promuovere l’engagement del paziente nel percorso di cura, così da favorire una maggiore proattività nella gestione della propria salute, in relazione con il Sistema sanitario. La mancata o inappropriata gestione dell’ipercolesterolemia porta, infatti, ad un peggioramento dello stato di salute e all’esposizione per il paziente ad un rischio di eventi elevato, con ripercussioni negative non solo sulla salute ma anche sul Ssn. Una condizione tanto silente quanto insidiosa come l’ipercolesterolemia va trattata in maniera incisiva e precoce. È per questo che va ‘aggredita’ con un approccio ancora più energico rispetto a quanto fatto fino a ieri, così da garantire un efficace contenimento del rischio. Infine, la possibilità, come indicato dalle linee guida, di utilizzare un parametro oggettivo e facilmente ottenibile come la misurazione delle Ldl ematiche – conclude Di Tano – su cui modulare la terapia, mirando a raggiungere i livelli target richiesti, rappresenta una raccomandazione ineludibile a cui adeguarsi”.