SAN CAMILLO, MUORE A DUE GIORNI DAL TRAPIANTO DI CUORE: ‘AVREBBE RICEVUTO UN CUORE MALATO’. MONTANO LE POLEMICHE

    E’ ancora troppo presto per poter indicare con certezza le eventuali responsabilità e, vista la delicatezza dell’argomento, è dunque corretto limitarsi ai fatti. Stamane ha infatti destato enorme scalpore la morte di un paziente dell’ospedale San Camillo di Roma, sottoposto a trapianto di cuore e morto dopo due giorni dall’intervento. Ma le polemiche seguite vertono sulle presunte cause che avrebbero determinato l’improvvisa morte del paziente trapiantato: i chirurghi avrebbero impiantato un cuore ‘malato’. Dal canto loro, i medici del capoluogo milanese che hanno proceduto all’espianto, hanno assicurato che ogni analisi effettuata sull’organo non hanno dato nessun dubbio o segnali di ‘pericolosità’. Intervistata in merito all’accaduto da Radio capital, il ministro della Salute ha annunciato “immediate procedure di controllo e verifica. Si tratta di una notizia gravissima – ha affermato la Lorenzin – ma anche singolare per un sistema come quello italiano. Noi, con il Centro nazionale trapianti abbiamo procedure di massima sicurezza fra le migliori al mondo. Mi sembra uno di quegli errori tragici, ma anche inaccettabili. Vedremo se ci sono state delle falle e agiremo di conseguenza”. Raggiunto dall’agenzia di stampa AdnKronos Salute, Nanni Costa, direttore del Centro nazionale trapianti, ha commentato l’accaduto spiegando che “E’ stata eseguita una valutazione del cuore attraverso un elettrocardiogramma e una ecocardiografia, che esamina l’organo a livello strutturale e funzionale, oltre a una coronarografia. I test sono risultati negativi. Per la nostra rete trapiantologica – sottolinea Costa – questo cuore rispettava i criteri di idoneità. Poi la valutazione passa al gruppo chirurgico che lo prende in carico, in questo caso il S.Camillo. L’équipe chirurgi è quella che va a prendere l’organo e ne verifica il funzionamento. Ho appena parlato con il chirurgo che ha operato, mi ha detto che era tutto a posto e la funzionalità cardiaca è stata verificata in vivo. I familiari hanno citato problemi nel trasporto dell’organo, ma noi abbiamo rilevato tempi corretti fra il prelievo del cuore e il trapianto. In ogni caso, anche il Cnt ha eseguito un audit e lo ha consegnato all’autorità giudiziaria. Qui noi ci fermiamo. Tutti i dati a nostra disposizione sono stati consegnati in totale trasparenza all’autorità giudiziaria, ma è chiaro che non possiamo vedere il referto anatomo-patologico dell’organo. Su questo caso – osserva ancora il direttore del Centro nazionale trapianti – sono state dette alcune imprecisioni: il paziente che ha donato il cuore aveva 48 anni e non 70 come ho letto, si è buttato in piscina da uno stato di pieno benessere. Si è sentito male, i soccorritori hanno fatto ripartire il cuore ma il cervello risultava già compromesso. Dopo 24 ore è stata dichiarata la morte encefalica. Ma non abbiamo potuto vedere il referto anatomo-patologico del ricevente poi deceduto, e immagino che sia da lì che si potranno evincere eventuali problemi. Ma bisogna pur ricordare che in un trapianto i rischi e le problematiche ci sono, anche agendo perfettamente – tiene a precisare per correttezza l’esperto – perché fanno parte dell’attività trapiantologica. Se un chirurgo promette un successo del 100%, dice una bugia. Per il trapianto al cuore vantiamo una sopravvivenza sopra l’80% a un anno dall’intervento, ma c’è sempre quella quota di 20%” che purtroppo non ce la fa”.
    M.