Franco Antonello e suo figlio Andrea sono ormai volti noti della televisione, grazie alle ‘Jene‘, che ne hanno raccontato la storia affrontando la condizione di Andrea, autistico dalla nascita. Un rapporto ‘magico’ ed emozionante, rafforzatosi nel corso di un lungo viaggio in Sudamerica che i due hanno intrapreso a bordo di una Harley Davidson. Un’esperienza forte che ha colpito ed ispirato lo scrittore Fulvio Eras, che ha voluto fermarlo in un libro, vendutissimo, ‘Se ti abbraccio non avere paura’. A sua volta, il libro ha ‘contagiato’ il regista Gabriele Salvatores il quale, a tavolino con Umberto Contarello e Sara Mosetti, ha buttato giù la sceneggiatura di ‘Tutto il mio folle amore’ (titolo preso in prestito dal bellissimo testo di Pier Paolo Pasolini musicato e cantato da Modugno in ‘Che cosa sono le nuvole’ del poeta-regista friulano), presentato oggi alla Mostra del Cinema di Venezia fuori concorso.
Nel film, ambientato in Dalmazia, ed interpretato da Valeria Golino, Claudio Santamaria, Diego Abatantuono, e Giulio Pranno, va in scena la storia Willy, maturo ‘farfallone’, che sbanca il lunario come cantante in circuiti minori. Questi 16 anni prima ha lasciato la compagna non appena saputo che era incinta. ma la coscienza bussa e Willy decide di andare a conoscere il figlio. La verità è ben distante dalle aspettative: Vincent è un ragazzo autistico. Tra i due scatta subito qualcosa e, quando Willy si vede costretto a dover onorare due impegni importanti, senza rendersi conto che il figlio si è intrufolato nell’auto. Willy ormai non può più tornare indietro ed Elena, la madre di Vincent, ovviamente in pensiero, decide di correre a riprenderselo accompagnata dal nuovo compagno.
“Sono tornato on the road – spiega a proposito del film il regista – per il desiderio di stare lì dove la vita scorre e forse pure per il desiderio di tornare a sentirmi un po’ più giovane. Il viaggio, la musica, le strade senza nome aiutano emozioni e sentimenti a trovare lo spazio per volare”. Quanto poi alla storia, Salvatores spiega che, “Come il Pifferaio Magico, Vincent si trascina dietro, per strade deserte, i tre adulti più importanti della sua vita. E li costringe a fare i conti con sé stessi e con l’amore che ognuno di loro è riuscito a conservare dentro di sé”. Ed ancora, “Perché ho deciso di ambientare il film in Dalmazia? perché avevo bisogno di un confine che diventasse anche poi metaforico per farlo superare ai due protagonisti. E l’unico confine vero che è rimasto per l’Italia è da quel lato lì. E poi Trieste, da cui il viaggio parte, è una città che mi piace moltissimo”. Ad ogni modo il regista è molto grato a questo suo ultimo lavoro, per certi versi illuminante: “visto da vicino, nessuno è normale – afferma infatti Salvatores – e si può scoprire che è possibile amare anche chi è diverso da noi, a patto di non aver paura di questa diversità”.
Santamaria: non c’è nessun pietismo
Claudio Santamaria, chiamato in una forte prova attoriale nei panni di Willy, tiene a precisare che nel genitore “non c’è pietismo. Non lo tratta con i guanti bianchi. Lui non sa nemmeno che il figlio sia autistico. Gli dice semplicemente: tu sei strano, io pure sono strano. Dove andiamo noi due insieme? E invece scopre che può fare il padre. Perché fare il padre è una cosa che si può anche imparare”.
Valeria Golino, attrice rodata, affrontò già il tema nel lontano 1988, quando si rovò a dividere la scena con il grande Dustin Hoffman e Tom Cruise, nel profondo ‘Rain man’ di Levinson: “Girando, ho pensato a quel film. Anche quello tra l’altro è un road movie e parlava dell’incontro tra due familiari, uno dei quali autistico. E in questo film come in quello i due protagonisti si incontrano, si scontrano e si migliorano a vicenda. Sono due film entrambi molto vitali. C’è una gioia intrinseca nella narrativa. La differenza sta nel fatto che 30 anni fa, quando è uscito ‘Rain Man’, di autismo non si parlava affatto. Adesso spero che tutti noi abbiamo una consapevolezza diversa”.
Difficile anche la prova di Giulio Pranno il quale, per prepararsi al meglio, ha frequentato per qualche giorno casa Antonello, misurandosi con Andrea: “Sono stato due giorni da lui – racconta il giovane attore – Poi ci è venuto a trovare più volte sul film. Sapevo che non dovevo fare una copia né una macchietta. Ma dovevo catturare la sua essenza. Lui è carismatico, frizzante, brioso. E mi ha aiutato molto poterlo frequentare per poter rendere il suo carattere”. E a vederlo sembra aver colto nel segno regalando un’emozionante vitalità al personaggio di Vincent. A proposito del debutto di Pranno, il regista tiene a rivelare che è stato scelto dopo“uno scouting singolare che abbiamo deciso di fare tra i bocciati all’esame per accedere al Centro Sperimentale, perché gli attori più che la tecnica devono avere il cuore e lui ce l’aveva”.
Max