(Adnkronos) – “Delle dieci leve che presentiamo oggi la più importante è la necessità di rilanciare il ruolo del livello centrale su tre grandi azioni: finanziamento del Ssn, programmazione della sanità, misurazione e valutazione delle performance delle regioni. Questo vuol dire che dobbiamo rivedere e innovare il modello di finanziamento del Servizio sanitario nazionale facendolo passare da una quota uguale per ogni cittadino, il criterio standard attuale, alla più ampia e più corretta ripartizione di risorse guardando anche i determinanti sociali della salute, scolarizzazione, disoccupazione e povertà. Oggi il determinante sociale pesa soltanto per lo 0,75% del riparto del fondo”. Così all’Adnkronos Salute Tonino Aceti, presidente di Salutequità, in occasione del primo summit ‘Equità e Salute in Italia2023’, giornata di dibattito promossa oggi a Roma da Sautequità con il patrocinio di Federsanità e Conferenza delle Regioni.
Per Aceti rilanciare la programmazione sanitaria “vuol dire innanzitutto dotarsi di un Piano sanitario nazionale che non abbiamo da 15 anni – sottolinea – ed è un adempimento normativo previsto da tutte le leggi dalla riforma sanitaria del 1978 in poi. Non solo, abbiamo anche un Patto per la salute in proroga per legge, cosa che non è mai accaduta sinora e in più dobbiamo rilanciare fortemente il tema della misurazione: oggi abbiamo 134 miliardi di euro dati alle Regioni, le cui performance sanitarie sono misurate soltanto rispetto ai soli 22 indicatori Lea nei quali le liste d’attesa ne rappresentano soltanto uno. Quindi, il principale problema che i cittadini incontrano – ovvero i tempi sempre più lunghi per le prestazioni – è misurato soltanto con un indicatore anche molto debole all’interno di un sistema di misurazione che oggi è inadeguato rispetto alla responsabilità che le regioni si trovano a gestire”.
“Mancano all’appello della valutazione – rimarca Aceti – anche indicatori come la telemedicina, il Pronto soccorso che non sono mappati. Infine, un’altra leva è anche rileggere il principio ideale della collaborazione tra Stato e Regioni: noi oggi abbiamo bisogno che il principio ideale della collaborazione sia funzionale e di aiuto ai bisogni dei cittadini, i provvedimenti devono essere presi velocemente in modo condiviso e poi soprattutto messi a terra. Invece, abbiamo un procedimento lungo con degli stop and go incompatibili con i bisogni di salute delle persone e con una messa a terra che fa fatica se pensiamo soltanto al Piano nazionale della cronicità: l’ultima regione che lo ha recepito è stata la Sardegna ben 5 anni dopo la sua approvazione”.