Non presenta segni clinici obiettivi ma una serie infinita di sintomi. Tra questi, dolore cronico diffuso da almeno tre mesi, astenia, stanchezza mentale e fisica, problemi cognitivi, disturbi genito-urinari, emicrania, rigidità, dolori e crampi addominali, ansia e depressione che compromettono la vita quotidiana di chi fa i conti con la fibromialgia, malattia reumatica cronica che colpisce circa 2 milioni di italiani. “Con una gamma di disturbi e dolori così ampia e variegata, possono trascorrere diversi anni, anche sette, per arrivare alla diagnosi univoca di fibromialgia. È assurdo ma è così”. Lo afferma Fausto Salaffi, professore associato di Reumatologia all’Università Politecnica delle Marche e responsabile nazionale del registro Fibromialgia.
“Il dolore – spiega Salaffi – è il principale sintomo della fibromialgia e viene descritto dal paziente in maniera molto varia: tensione, rigidità, crampo, taglio, scossa, pugnalata, bruciatura, compresa la sensazione di essere diffuso dappertutto”. Una patologia estremamente invalidante che “causa disabilità al paziente – sottolinea il reumatologo – che per non provare dolore riduce qualsiasi attività fisica e lavorativa, in alcuni casi arrivando alla totale immobilità”. Persino gli stimoli esterni più innocui come indossare dei vestiti oppure l’essere toccati vengono percepiti dal paziente come un dolore insopportabile. Dolore che si fa più intenso nelle giornate fredde, umide e piovose, mentre la maggior parte dei pazienti riferisce un effetto benefico del caldo.
“Anche l’inattività e l’iperattività – secondo Salaffi – aggravano la sintomatologia che, invece, migliora grazie ad una moderata attività fisica. Il ruolo dello stress, fisico e psichico, è noto come fattore di peggioramento sia del dolore sia di tutti i sintomi eventualmente associati ad esso. Fondamentale, quindi, una diagnosi precoce per prevenire, non solo l’accentuarsi dei sintomi, ma anche l’instaurarsi di circoli viziosi come dolore-disturbi dell’umore, dolore-immobilità, che ne rendono complessa la gestione. Ma la combinazione delle numerose manifestazioni cliniche e la severità di ogni singolo sintomo presenta un’estrema variabilità. Ciò rende problematico il precoce riconoscimento della fibromialgia”.
Sebbene si tratti di una condizione clinica nota da tempo, la fibromialgia solo recentemente ha ricevuto una definizione scientifica ed un riconoscimento formale. “I primi criteri per la classificazione della fibromialgia – ricorda Salaffi – sono stati proposti nel 1990 dall’American college of rheumatology (Acr) e nel 1992 l’Oms ha riconosciuto la fibromialgia come patologia con la Dichiarazione di Copenhagen. Inoltre, nel 2009 il Parlamento europeo ha chiesto alla Commissione e al Consiglio di mettere a punto una strategia comunitaria per il suo riconoscimento come patologia, incoraggiare gli Stati membri a migliorare l’accesso alla diagnosi e ai trattamenti e promuovere la raccolta di dati. Ma viste le numerose perplessità sollevate da parte della comunità scientifica riguardo l’utilità di formulare la diagnosi di fibromialgia mediante la ricerca dei ‘tender points’ nel 2010, 2011 e nel 2016, sono stati riformulati dall’Acr i nuovi criteri classificativi”.
Secondo tali criteri – spiega ancora – per la diagnosi di fibromialgia devono sussistere contemporaneamente 3 caratteristiche: dolore diffuso in specifiche aree e regioni del corpo; presenza di sintomi caratteristici (astenia, sonno non ristoratore, problemi cognitivi, emicrania, dolore/crampi addominali, depressione) che compromettono la vita quotidiana; durata della sintomatologia pari ad almeno 3 mesi”.
Diversi gli strumenti disponibili per la valutazione dei pazienti con fibromialgia ma è grazie ai livelli di severità della malattia che è possibile stratificare differenti ‘cluster’ di malattia, ovvero “personalizzare l’intervento terapeutico ed attuare strategie di monitoraggio – tiene a precisare Salaffi – secondo le raccomandazioni internazionali. Tali aspetti rientrano fra le principali priorità strategiche dell’Istituto superiore di sanità e del ministero della Salute in merito al riconoscimento della fibromialgia come malattia cronica ed alla definizione dei Livelli essenziali di assistenza (Lea)”.
“Un nostro studio condotto con la Società iItaliana di reumatologia (Sir) e patrocinato del ministero della Salute – riferisce Salaffi – ha consentito di pervenire ad una definizione delle soglie o livelli di severità di malattia, indispensabili all’inserimento della fibromialgia nell’elenco delle malattie croniche invalidanti. L’analisi delle caratteristiche demografiche e clinimetriche di 2.339 pazienti studiati presso 19 centri di Reumatologia, distribuiti su tutto il territorio nazionale, ha permesso la stratificazione dei livelli di severità di malattia che potranno essere di supporto alla gestione razionale, sia del trattamento che della valutazione della progressione della malattia. Gli strumenti di valutazione utilizzati erano rappresentati dalla versione modificata del Fibromyalgia impact questionnaire (Fior), dal Fas modificato (Fibromyalgia assessment status modified) e dal Polysymptomatic distress scale (Pds). Per ogni singolo strumento sono stati calcolati i relativi livelli (valori soglia) di severità di malattia”.
E sulla definizione dei livelli di severità della malattia, il professore associato di Reumatologia all’Università Politecnica delle Marche è tra gli autori delle pubblicazioni “Definition of fibromyalgia severity: findings from a cross-sectional survey of 2339 Italian patients” (Rheumatology – Oxford), “Diagnosis of fibromyalgia: comparison of the 2011/2016 ACR and AAPT criteria and validation of the modified Fibromyalgia Assessment Status (Rheumatology Oxford).
La sindrome fibromialgica è una malattia molto diffusa di cui non si parla ancora abbastanza. Oltre ad essere frequente è anche subdola: non a caso è chiamata “malattia invisibile” perché è difficile diagnosticarla. Il dolore persistente e gli altri sintomi invalidanti non sono facilmente oggettivabili, ma la vita di chi ne è affetto è un quotidiano calvario. Per contrastare questo senso di abbandono e di “frustrazione”, Alfasigma è al fianco dei pazienti con Sindrome fibromialgica attraverso l’informazione corretta e verificata, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica, diffondere maggiore consapevolezza e migliorare la qualità di vita dei pazienti. Alfasigma tratterà, con l’aiuto di esperti, argomenti su cui si è riscontrata una carenza di comunicazione, mettendo il paziente nella condizione di poter essere protagonista attivo nel proprio percorso di cura.