E’ tutt’altro che assopita la vicenda del Russiagate negli Stati Uniti, dove le indagini proseguono serrate e sono in molti ad averne paura. Oggi poi l’inchiesta ha subito uno scossone dopo che l’ex manager della campagna elettorale di Trump, Paul Manafort, si è consegnato alle autorità. Come ha poi reso noto l’Fbi, sono ben 12 i capi di imputazione nei confronti Manafort, fra i quali quello più grave: cospirazione contro gli Stati Uniti. Nel riferirlo ai media, l’ufficio del procuratore speciale Bob Mueller (che ha fornito loro l’atto di incriminazione dell’ex manager, contrassegnato da diversi omissis), ha affermato il coinvolgimento anche dell’ex socio Rick Gates (anch’egli consegnatosi all’Fbi), rimosso ad aprila dalla guida del gruppo pro Trump America First Policies. Nello specifico i due sono colpevoli di riciclaggio, di aver operato come lobbisti di Paesi stranieri senza essere registrati, di aver ingannato il governo riguardo alla natura della loro attività di lobbying, condotta a vantaggio di Paesi stranieri e, cosa assai grave negli Usa (mica l’Italia!), di aver rilasciato false dichiarazioni. Poi ci sono sette capi di imputazione per non aver presentato i documenti appropriati relativi a conti finanziari all’estero. A rendere ’precoccupante’ la cosa è che nell’ambito dell’inchiesta, è la prima volta che finiscono agli arresti due ex membri della squadra elettorale di Trump. Dal canto suo, attraverso un portavoce, la Casa Bianca ha fatto sapere che l’amministrazione “potrebbe non avere nulla da commentare” in merito. Mueller prosegue imperterrito nelle sue indagini, deciso a dimostrare la veridicità delle interferenze russe nell’ambito delle elezioni, e le eventuali collusioni – nell’ambito della campagna elettorale di Trump – con il governo russo. Tra i compiti assegnati al procuratore generale, anche quello di appuirare se da parte dell’amministrazione sono state pratiche condotte atte ad intralciare il corso della giustizia.
M.