“Russia in difficoltà, da Siberia carri armati parcheggiati da fine Urss”

(Adnkronos) –
La Russia è in difficoltà in Ucraina. Anche la pausa che ha fatto seguito alla fine della prima fase della guerra, dopo il ritiro delle forze militari impegnate a Nord, non è servita per colmare le perdite subite, sia in termini di mezzi che di uomini. Per compensare i carri armati e gli altri mezzi importanti distrutti (1.500 sugli 8mila disponibili il 24 febbraio), arrivano al fronte tank ereditati a migliaia dall’Unione Sovietica e parcheggiati da trent’anni in depositi all’aperto in Siberia, con il solo grasso a protezione.  

Ma la perdita dei soldati – spiega all’Adnkronos una fonte informata – difficilmente potrà essere compensata, neanche da una eventuale mobilitazione generale che “non determinerebbe un cambiamento significativo dal punto di vista operativo”. Civili con un solo anno di addestramento militare alle spalle, magari anche remoto nel tempo, non sono considerati come la soluzione.  

“La sostituzione è fattibile per i mezzi, anche se con un degrado della operabilità, a causa di una manutenzione solo parziale, dei guasti molto più frequenti a cui sono soggetti, ma per i militari è molto più difficile. I soldati a contratto hanno dato, nei primi mesi, di guerra una pessima prova, sia per qualità che per attitudine a combattere”, si sottolinea. “I militari russi hanno subito perdite gigantesche e non hanno molte riserve. Questo è il vero collo di bottiglia. Per quante persone Mosca possa reclutare a forza nel Donbass”.  

A dimostrare l’arrivo dei vecchi mezzi sul campo, vi è l’aumento di carri T-72B persi in battaglia in questa seconda fase della guerra sul fronte a Est, che si accompagna in parallelo alla diminuzione dell’annientamento dei T-72B3 rimodernati negli anni, e in dotazione alle forze russe all’inizio dell’intervento.  

Il 24 febbraio, la Russia aveva schierato 120 dei suoi 160 Gruppi tattici di battaglione, ognuno dei quali dispone, in media, di 50 mezzi da combattimento importanti. “I 120 Btg erano tutti quelli impiegabili, con militari volontari o, se di leva, con almeno sei mesi di addestramento. Di fatto, hanno messo sul terreno tutto quello che potevano dispiegare, dal punto di vista della operatività”. Quando le forze russe hanno interrotto la prima fase della guerra, avevano perso fra il 20 e il 30 per cento di uomini e mezzi, una percentuale che, se riprodotta a livello di unità, ne indica la distruzione secondo i parametri convenzionali in uso ai militari. “In quel momento la loro capacità operativa era ridotta a zero”, vale a dire, non erano in grado di lanciare operazioni offensive, si sottolinea.  

Nella seconda fase dell’intervento, dai 120 Btg iniziali, ne sono stati ricostituiti 70-80, con 4mila mezzi. E con soldati con poco addestramento. “La Russia ha provato a riorganizzare in modo sostanziale i militari al fronte, ma senza riuscirci pienamente. Non solo per problemi numerici, ma organizzativi in senso lato. Le forze russe non avanzano. Ci troviamo di fronte a una guerra di attrito, in cui non ci sono manovre, non c’è la capacità di sfondare”.  

La catena logistica delle forze russe ora impegnate sul fronte del Donbass si è ridotta. Gli ucraini non riescono più a colpire i rifornimenti, non ci sono più le lunghe le colonne di autocarri esposti alle imboscate durante la prima fase. Ma i soldati di Kiev dispongono di nuove armi: non più solo i Javelin per colpire i carri armati, ma anche obici con portata di 30 chilometri, per esempio. 

Le guerre di questo tipo sono vinte da chi ha più “materiale umano e tecnico” per rigenerare le forze e quindi sostenere l’attrito (da quì la strategia di Kiev, sostenuta dai Paesi occidentali che garantiscono i rifornimenti di armi a chi dispone di persone disposte a combattere). “Ma è difficilissimo prevedere l’esito e la durata di una guerra di attrito: una cosa è contare i militari e i mezzi, un’altra misurare l’attitudine al combattimento e la resistenza psicofisica delle persone”.