(Adnkronos) – Era atteso un clima di tensione. C’è stata soprattutto una composta elaborazione della ferita ultrà che si è consumata con lo scippo dello striscione dello storico gruppo della curva Sud, i Fedayn, da parte degli hooligans della Stella Rossa. Roma-Verona, nella parte più calda dello Stadio Olimpico, è stata soprattutto la domenica dell’onta da superare, dell’imbarazzo difficile da metabolizzare con il codice del tifo organizzato.
Gli striscioni degli altri gruppi al loro posto, non c’è stato il gesto di solidarietà collettivo e coordinato che era stati chiesto; lo storico gruppo salito sugli spalti solo a dieci minuti dall’inizio; i tentativi di tifo ordinario spenti dal silenzio e da qualche fischio, gli applausi dell’intera curva partiti più volte all’indirizzo del muretto dei Fedayn; il coro finale “Siamo tutti Fedayn” sono i principali appunti rimasti sui taccuini dei cronisti. Nella pancia della Sud c’è stato però anche altro. Il chiacchiericcio, tra una fila e l’altra, ha messo insieme i ricordi di chi conosce la curva e i Fedayn, le riflessioni politiche e quelle da strada, i sospetti, le ricostruzione sommarie, le congetture.
L’agguato subito alla fine di Roma-Empoli da un gruppo di tifosi che ha fatto la storia della curva mette ancora più distanza tra le generazioni. C’è chi lega i Fedayn alla loro origine sociale e politica, un gruppo espressione di un’anima di sinistra che si è ormai quasi totalmente persa in un ambiente egemonizzato dall’estrema destra, chi azzarda retroscena e tradimenti, e un’operazione su commissione, legati a una guerra per la supremazia di uno spazio che non è più quello di una volta. C’è chi insiste sul disonore e sull’infamità, categorie di un codice di comportamento antico, e chi invece minimizza.
In curva Sud, come in tutti gli stadi, oggi c’è soprattutto una difficoltà a comunicare e a condividere. E’ il 12 marzo del 1972 quando in curva Sud, durante un match tra Roma e Varese, compare per la prima volta lo striscione dei Fedayn. Da allora, e sono passati più di cinquant’anni, dietro quello striscione, al muretto 17, sono cresciuti e invecchiati in tanti, con un ricambio generazionale affidato soprattutto ai figli che nel frattempo sono nati. Intorno è cambiato molto, se non tutto.
E c’è un’immagine, più di qualunque altra, a spiegare il senso di una domenica sospesa tra passato e presente. In basso, in curva, ci sono i tifosi che abitualmente lanciano i cori per sostenere la squadra. Hanno provato per tutta la partita a fare come se niente fosse, seguiti con il passare dei minuti da sempre meno voci. Il silenzio e gli applausi della curva e dell’intero stadio solo per i Fedayn sono serviti a esorcizzare il rischio di una rottura pericolosa e, forse, a voltare pagina. Anche Josè Mourinho ha frainteso. Nessun fischio per la squadra, solo i fischi necessari a far capire a chi è nato più tardi che si doveva consumare un rito silenzioso. (di Fabio Insenga)