La Squadra Mobile della Questura di Roma ha eseguito 9 provvedimenti restrittivi a carico di cittadini stranieri responsabili a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata al reclutamento, induzione e sfruttamento della prostituzione, anche minorile. 3 le ordinanze di custodia cautelare emesse dal GIP di Roma sono state eseguite nella mattinata odierna tra Pomezia e Roma. Sono 6, invece, i provvedimenti di fermo di indiziato di delitto, eseguiti già lo scorso 12 settembre nei comuni di Albano, Ardea e Pomezia. I provvedimenti sono giunti al termine di unintensa attività investigativa condotta dalla Squadra Mobile di Roma a partire dal mese di Marzo 2013, sotto la direzione del Sostituto Procuratore d.ssa Claudia Terracina della Procura della Repubblica di Roma, che ha permesso di accertare lesistenza di un sodalizio criminale, operante da diversi anni e composto da cittadini rumeni gravitanti nel hinterland romano.
Le vittime, tutte giovanissime donne rumene, una delle quali minorenne, venivano costrette dai propri connazionali a prostituirsi durante il giorno lungo le strade consolari Ardeatina e Laurentina.
Le donne erano sottoposte dai propri sfruttatori, ai quali in alcuni casi erano legate da vincoli affettivi, a continue vessazioni e minacce, come fossero cose soggette al diritto di proprietà, ridotte e mantenute in un continuo stato di soggezione. Le indagini hanno preso le mosse da alcune prime timide dichiarazioni rese da una di loro nel corso di un controllo di polizia ed hanno, successivamente, permesso di accertare lesistenza di unorganizzazione ben strutturata gerarchicamente, evidenziando per ogni associato un ruolo specifico. Al vertice della struttura Croitoru Vasilica, il quale stabiliva le tariffe, concedeva i permessi e assegnava i posti. Questo inoltre si occupava, anche tramite sua moglie, di reclutare le donne in Romania. Mentre i singoli protettori avevano il duplice ruolo di organizzatori del sodalizio criminale e di sfruttatori di ciascuna vittima. Dalle indagini è emerso che una cifra variabile tra le 200 e le 300 euro dovesse essere versata settimanalmente per ogni donna autorizzata dallorganizzazione ad esercitare lattività di meretricio nelle zone di loro competenza. Nel corso dellindagine sono state oltre dieci le vittime identificate. Oltre ai soldi, destinati ad assicurarsi il posto di lavoro, le donne dovevano dividere il restante guadagno col proprio diretto protettore che, insieme agli altri malviventi, esercitava per conto dellorganizzazione una stretta vigilanza dei luoghi di lavoro, assicurando il rispetto delle zone e degli orari. Le somme del canone imposto venivano poi versate dai protettori al vertice dellorganizzazione, direttamente o facendole recapitare tramite corrieri oppure transazioni bancarie in Romania, dove venivano reinvestite per lacquisto di immobili.