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Roma, Pinto con Mou: “allineati”. La dura legge dei duri: durare più delle polemiche

L’amore è eterno finché dura. E, nella città Eterna, anche (se non soprattutto) calcisticamente questo ha significato parecchie volte qualcosa di terribilmente lontano da qualsiasi concetto di eternità. Perfino Totti, emblema di prodigo figliol della terra a cui, non staccandosi mai, non ha dovuto far ritorno, è stato spesso oggetto di critiche. Anche con lui è finita: vuoi che, adesso, non lo si dica anche per Mourinho?

Sì, d’accordo, lo Special One e tutto il resto. I ventitré (ventitré) tituli, la sua verve, i calciatori pronti a gettarsi nel fuoco per lui. Ma questa è Roma: Nerone, mica uno qualsiasi, nel fuoco l’ha bruciata. Sono passati Cesari, Augusti, Papi, e tutte le volte ne è morto uno per far posto a un altro.
Se l’Olimpico non è un Colosseo, di gladiatori come Falcao, Giannini, De Rossi ne son passati comunque tanti: e tutti quanti sono stati prima esaltati, poi infangati, e comunque c’è stato sempre più di qualcuno a dire “si, vabbè, però…”

Però che? Però questa è Roma, dove s’è visto tutto, di tutto: Colossei e mondezze, sampietrini e voragini, là dove tutto s’inghiotte e pur tuttavia, poi, ancora risplende. Come la luce sui tetti della Grande Bellezza nella sua gattopardesca eterna identità.

Figurati se, pur se hai vinto tutto in tante altre città (Londa, Milano, Porto, Manchester), tu che vieni da Setubal, mica da Testaccio, puoi essere immune alle critiche del “sì vabbè però…”: Roma è Roma. E’ così: ha sopravvissuto a bombe, conquiste, sciacallaggi e ai suoi stessi fasti imperiali. Perfino a vent’anni iniziati con un’andante marcia. Roma, marcia, lo è di per sé, per molti. Nella vita e nel calcio: e la Roma di José Mourinho che la marcia in campionato la si appresta a riprendere dopo il caracollante cammino pre-sosta, non fa di certo eccezione.

La prima Roma di Mou: critiche giuste o pazienza?

Un percorso che si è stoppato, al momento, sulla debacle veneziana, anch’essa condita da contestazioni arbitrali e da spunti tattici e tecnici da cui sono divampate critiche, in alcuni casi anche trancianti, sia verso la rosa e il club che, soprattutto, verso lo Special One. Ma che cosa succede, esattamente in casa Roma? E, ancor di più, a che punto è, stando ai programmi e alle idee dei manager a capo dello stesso, il progetto dei giallorossi?

A far chiarezza su questo cruciale aspetto (tanto prospettico quanto attuale) relativo allo stato di salute (o meno) della ‘visione’ dei Friedkin (come gli stessi proprietari giallorossi l’hanno definita), è stato il General Manager Tiago Pinto. Il quale, ai microfoni di Sky, si è concesso per un’intervista particolarmente illuminante in termini di limpidezza e identità progettuale.

Con una sintesi che, probabilmente, piacerà poco ai tifosi meno incanalati nella realtà delle cose e più orientati a soffiare sui venti dei sogni che una scelta come quella di Josè Mourinho in panchina porta in dote, il G.M. della Roma ha spiegato che non vi è alcuna possibilità di immaginarsi una Roma ‘instant team‘; una che, in soldoni, sia capace di vincere subito pronti-e-via. Esiste, semmai, un progetto triennale, orientato verso l’ambizione del provare a vincere inseguendo una programmazione sostenibile e di crescita come la proprietà giallorossa e i vari manager della nuova èra Friedkin non hanno mai smesso di ribadire fin dal primo giorno di insediamento.

Un progetto, questo, che passa inevitabilmente da Mourinho. Non solo: un progetto scelto, avallato, difeso da Mourinho.  Che ha in Mourinho l’architrave. Il condottiero, la baionetta.

Mourinho a Roma: picconatore allineato alla progettualità triennale

Impossibile dimenticare le varie esternazioni tramite cui, in conferenza stampa, lo Special One ha riconosciuto il valore del lavoro del ‘team’ dietro le quinte in termini di pulizia e di risistemazione delle realtà (e delle connesse problematiche) che il management di Trigoria ha ereditato dalla gestione precedente.

Un parco giocatori costosissimo e fuori linea dal progetto, da sistemare in sede di mercato, caterve di infortuni in sequenza, posizione di classifica non conformi alle ambizioni e ai costi vivi del club, la continua esigenza di iniezioni di liquidità dirette da parte della proprietà, la bagarre dello stadio, interi settori da rimodulare all’interno delle varie aree strutturali. Insomma, una Roma nel guado di una ricostruzione/rivoluzione, forse l’ennesima, forse neanche l’ultima, chissà. Ma una Roma che, al netto del silenzio dietro cui i Friedkin si trincerano (preferendo parlare con i fatti), preferisce essere onestà con tifosi e stampa, ribadendo con la costanza di chi non teme smentita, alcuni concetti che intendono togliere ombre di faziosità da quella che è l’attualità e, appunto, l’intento del club. Con buona pace di chi, tifosi o stampa, magari ambiva ad altro, proprio forse stuzzicata dall’arrivo di Mourinho.

Ma è, per appunto, proprio la condivisione delle idee tra club e Mourinho il tassello attorno a cui costruire le nuove certezze sulle prospettive della Roma: perchè se Mou ha rappresentato sempre un certo tipo di certezza fino ad ora (andava solo nei club pronti a vincere subito, ottenendo subito grandi giocatori, il successo come unico target immaginabile), questa volta, per sua stessa ammissione e per ammissione societaria, la decisione dello Special One è stata quella di provare qualcosa di diverso: costruire qualcosa di diverso. Magari vincente domani, ma non oggi. Forse un concetto difficile da digerire, specie per una tifoseria che da decenni è a digiuno di titoli: ma un concetto chiaro, onesto, senza bluff o travestimenti.

E neppure parafulmini. Perché questa volta, il parafulmine è allineato. E non avrebbe problemi a sbattere la porta e andarsene se così non fosse. Se le cose dovessero cambiare. O non piacergli.

Mourinho allineato: ecco cosa ha detto Pinto

“Non sarebbe stato possibile avere Mourinho senza una strategia comune: è totalmente allineato con il nostro progetto. Quando parliamo di calcio sostenibile non significa che non vogliamo vincere, ma che bisogna farlo con il nostro programma.”, ha detto Tiago Pinto infatti nelle scorse ore a Sky. “Non vogliamo un instant-team, ma lavorare per migliorarci giorno dopo giorno anche grazie all’esperienza e alla leadership di Mourinho. Con lui abbiamo fatto la scelta giusta, sarà uno degli allenatori più importanti della storia della Roma”.

Parole che sanno di miele per chi ha il coraggio di guardare oltre i paraocchi, e di amaro per chi forse si era illuso quando, il 4 Maggio scorso, a sorpresa la Roma annunciò l’ingaggio di Mou. Ma, a distanza di quattro mesi, che cosa ha detto la realtà dei fatti? Cosa è stato fatto e cosa si è (già) ottenuto?

Con un mercato di ‘inseguimento’ e di ‘reazione‘ come l’ha etichettato lo Special One (a causa del KO di Spinazzola e dell’addio di Dzeko) le strategie iniziali sulla costruzione della rosa sono cambiate in corso d’opera, col risultato evidente di uno sbilanciamento del parco giocatori: reparti abbondanti e altri sguarniti e, per di più, alcuni dei tesserati che oltre ad aver puntato i piedi bloccando l’arrivo di possibili nuovi innesti, non sono stati considerati congrui al progetto sportivo e, dunque, messi o agli estremi margini del club o del tutto fuori rosa.

Può un allenatore farlo? Se non può, allora perché prendere un allenatore? Non piace ciò che dice o fa? Non lo si condivide? Lo si può dire, esiste il diritto di critica, di cronaca, ma esiste anche il diritto del perseguimento delle proprie strategie quando sei un allenatore di un club con cui, appunto, sei allineato. Il resto, lo dicono i numeri (attuali) e quelli che verranno. E cosa raccontano finora?

Dopo un avvio brillante in campionato, i primi segnali di cedimento con la sconfitta col Verona (poi divenuta la vera sorpresa del campionato, rinnovata da Tudor in panchina, tanto da trasformarsi nella ‘ammazzagrandi’ del torneo, e non solo), ecco i rallentamenti e i KO contro le big: nel derby con la Lazio, contro la Juventus (match, però, condizionati da decisioni arbitrali che non hanno certo sorriso ai giallorossi) e poi, dopo il pari col Napoli primo della classe, l’altra sconfitta contro il Milan (anche in questo caso con veementi recriminazioni arbitrali da parte della Roma). Passando dall’orrore del KO tennistico in Conference League contro il Bodo e, infine, dalla sconfitta col Venezia, anche in questo caso però oggetto di decisioni arbitrali contestate dai giallorossi.

In molti, tra tifosi e addetti ai lavori, hanno sottolineato come la graduale perdita di posizioni in classifica da parte della Roma sia coincisa con queste controverse situazioni di arbitraggio che, se lette in maniera diversa, avrebbero potuto idealmente consegnare a Mourinho e ai suoi almeno una manciata di punti in più in classifica. Il sufficiente per restare ancorati al quarto posto. Invece ora, è sesto posto in campionato con 19 punti in 12 giornate e cammino in Europa, quello in Conference League, non roseo e sciolto come si pensava.

Dunque, sono più ombre che luci, più croci che delizie. Se molto dipende dalla ‘narrazione’ e dall’interpretazione che si danno ai crocevia da cui, dopotutto, discendono i risultati di ogni match, resta comunque un inizio di stagione che, al netto degli errori arbitrali, non può non occhieggiare anche a quelli strutturali del primo scorcio mourinhano giallorosso.

Leadership e visione: la mission della Roma di Mou dopo 4 mesi

Ed è qui, in questa fessura che si inserisce la centralità dell’idea progettuale su cui insiste Tiago Pinto. Voce della volontà della proprietà, il general manager giallorosso ha chiarito che il presente e il futuro del club sono contraddistinti da una totale unità d’intenti tra società e allenatore. “Mourinho è stato sempre visto come un allenatore da instant-team perché si è costruito questa immagine nel tempo, in quanto fortunatamente ha allenato i più grandi club al mondo e magari queste squadra non hanno il tempo, il progetto e la strategia della Roma – ha ammesso a Sky Sport – Ma non sarebbe stato possibile avere un allenatore come Mourinho senza avere questa strategia in comune. Tutto il tempo che lui spende con i giovani della Roma conferma che è totalmente allineato con noi. Non possiamo creare un instant-team come fanno altre squadre e questa non è una critica, ma una verità. Mourinho non solo è consapevole di questa cosa, ma è anche allineato e il lavoro che sta facendo dimostra questo più della mia parola. Quando un allenatore come lui si dedica a creare e a migliorare giocatori come Felix Afena-Gyan, Darboe e Calafiori significa che condivide questo progetto”.

Non solo. Per Tiago Pinto vi è una certezza: “Mourinho sarà uno degli allenatori più importanti della Roma”. E non è un caso che l’ultimo post social del tecnico di Setubal, sempre attento a cosa postare e quando e perché è stato questo: “Lavoro per costruire il futuro della Roma”. Futuro: non presente. Perché il presente racconta della necessità di una ricostruzione. E per ricostruire serve tempo.

“C’è voglia da parte nostra di essere ambiziosi, quando diciamo che ci vuole tempo e quando parliamo di calcio sostenibile non significa che non vogliamo vincere – ha ribadito in tv Tiago Pinto – Ma vogliamo farlo con questa strategia e non abbiamo mai avuto dubbi su questo, lo dimostra quello che abbiamo fatto in estate. Magari abbiamo confuso le persone perché abbiamo preso Abraham, che è giovane ma è un grande calciatore. Ma non vogliamo fare un instant-team, vogliamo lavorare in tutte le aree e migliorare ogni giorno e in ogni finestra di mercato.”

Da qui, la centralità di Mou. “Per noi è importante Mourinho, lo abbiamo preso perché la sua esperienza, la sua intelligenza e la sua leadership erano perfette per sviluppare questo progetto triennale di cambiamento di mentalità, di ricostruzione della rosa e di sviluppo e miglioramento di tutti i calciatori. E devo dire, dopo quattro mesi, che la scelta è stata giusta e che sarà uno degli allenatori più importanti della storia della Roma”

Intanto a Mou si contestano dichiarazioni forti, risolute e scelte trancianti sulla rosa, con giocatori messi ai margini e puniti dopo Bodo, dichiarazioni troppo ‘palesi’ (in un mondo ovattato e retorico come il calcio spesso esser laconici è un rischio) sulle défaillance di alcuni interpreti  e dei ‘buchi’ di rosa, e anche alcune scelte tattiche che hanno mostrato molto poco del carattere difensivista e reattivo del Mourinho dei 23 titoli in carriera e molto più una sorta di neo-Mou arrembante, capace di schierare uno stuolo di attaccanti tutt’insieme per ribaltare risultati negativi e inattesi. Ma, appunto, anche qui parlano i dati.

Al netto di errori che, lui in primis (chi non sbaglia?) ha commesso in questo primo lasso di campionato, va ricordato che mai prima d’ora Mourinho ha avuto un parco giocatori non top (o comunque non completo nei vari reparti) tale da permettergli di puntare, appunto, sulla compattezza e sull’impenetrabilità difensiva come primo comandamento: basta rileggere i numeri della sua carriera per vedere come i soli (rari) casi in cui le cose non hanno funzionato in termini di difesa blindata fanno riferimento ai tempi di Manchester e degli Spurs, quando tra squilibri tecnico-tattici e infortuni ha dovuto fare i conti (molto meno che alla Roma, in verità) con problematiche di carenza in rosa e compattezza difensiva e dunque di continuità di risultati.

Quando alla schiettezza: quando mai Mou è stato uno da dichiarazioni da zero a zero? Chi non ricorda il segno delle manette all’epoca dell’Inter, o le frasi sul perchè non facesse mai giocare le riserve nerazzurre, nel 2009? Frase identica a quella pronunciata quest’anno, come tante altre sembrano solcare i sentieri delle ‘battagliedialettiche con cui il portoghese ha colorito tutte le sue avventure in panchina ovunque sia stato.

Fa parte di lui, delle sue strategie comunicative: è un’indole, emulata da molti tra le altre cose, che lo ha portato a diventare uno dei tecnici più vincenti della storia. Ora, lo stesso modus operandi, a Roma, lo fa etichettare come un picconatore societario, bollito, e si parla di un Mou scontento, distaccato dall’imprinting societario nel migliore dei casi. Nulla di più falso.

Solo chi non conosce la storia, il carattere e l’ambizione di Mourinho può pensare che possa essere stato così sciocco (a 59anni, e dopo aver vinto tutto) da accettare la Roma senza saper perfettamente a cosa stava andando incontro.
Forse, è Roma (intesa come piazza, di tifo e media) che non aveva ben capito, o aveva frainteso. Proprio perché, per carità, Mou è sempre stato sinonimo di top player e di vittoria immediata. Mi porti lui, mi porti Mendes e la sua scuderia.

Ma (ed è questo il ma cruciale) se è stato lui stesso a ribadirlo fin dalla prima intervista che sarebbe tutto diverso rispetto al suo passato, che sarebbe servito tempo (i famosi tre anni di contratto) per ricostruire/ripulire/aggiustare la Roma e riportarla davvero a competere per vincere, magari facendo in modo di ‘accelerare‘ questo processo sfruttando le sue proprie armi (dialettiche, tattiche, personali, psicologiche e non solo) senza però sconfessare il credo societario da lui stesso abbracciato con piena consapevolezza (fu Mou a dire che la ‘visione’ dei Friedkin lo aveva colpito, e che per questo aveva accettato subito senza attendere altre proposte, come poi gli sarebbero giunte), allora perchè non dar credito, con pazienza, all’onestà intellettuale con cui tutti i protagonisti giallorossi continuano ad ancorarsi alla coerenza delle proprie idee e parole?

Cosa sta dando Mou alla Roma

Va anche detto, tuttavia, che se ingaggi Mourinho ti aspetti anche quel qualcosa in più che ha fatto di lui quel che tutti gli riconoscono ancora. Se, cioè, lo Special One resta lo Special One e non è, come qualcuno dice, bollito, che cosa sta o sarebbe portando ad una Roma che, ad oggi, ha più o meno gli stessi punti e la stessa posizione di quella di Fonseca?

Con Mourinho sta cambiando la Roma. La mentalità. Parola di Tiago Pinto. “Posso dare diversi esempi. Lui con la sua leadership sta cambiando tutti i dipartimenti intorno alla squadra, dallo scouting, al match analysis, persino alle operations. Quando guardiamo anche a dei dettagli nella gestione di grandi squadre, può capitare di chiederci perché non ci avevamo pensato anche noi: sono certi dettagli che aiutano a crescere e su questo stiamo lavorando insieme. In più c’è tutto il lavoro che stiamo facendo con il settore giovanile. Voi vedete Felix, ma non vedete tutto il lavoro che Mourinho sta facendo negli ultimi mesi. È andato a vedere le partite della Primavera, ha chiamato tanti giocatori per gli allenamenti della prima squadra, fa un lavoro personalizzato con questi giocatori per svilupparne al meglio le qualità.”Sono sicuro che, grazie al lavoro che Mourinho sta portando avanti, la Roma in futuro otterrà grandi benefici.

Quanto alla mentalità di Mou che si scontrerebbe con il ‘volar basso’ della dirigenza, Pinto chiarisce. “Molte volte le persone interpretano le dichiarazioni di Mourinho in un certo modo, ma noi volevamo un allenatore con questa ambizione, un allenatore che non è mai soddisfatto perché anche questo mancava alla Roma. Noi vogliamo sempre migliorare e non vogliamo mai essere ‘comodi’ quando le cose non vanno bene. Tutto questo processo di cambiamento non è facile da percepire fuori, soprattutto quando abbiamo dei cattivi risultati come nell’ultimo mese”.

Ma se l’ambizione di Mourinho in passato veniva associata alle continue richieste di comprare campioni, Tiago Pinto chiarisce ancora una volta che la realtà è diversa, alla Roma.
“Lui non ha bisogno di bussare alla mia porta, viene nel mio ufficio ogni giorno e facciamo quello che abbiamo fatto sempre. Discutiamo sui temi, sempre allineati con la strategia del club, vogliamo sempre il meglio per la squadra. Se possiamo fare qualcosa per migliorare la rosa, di sicuro lo facciamo”.

Un mercato attento: come quello di tutti i club del resto. “Credo che oggi ci siano forse 4-5 club che possono parlare di instant team, mentre tutti gli altri si devono concentrare su un calcio sostenibile”, ha ammesso Pinto. “Sul mercato non possiamo creare delle grandi aspettative perché sappiamo tutti com’è il mercato di gennaio. Ma siamo convinti che tutti insieme, proprietà, scouting, Mourinho, Tiago Pinto, come abbiamo fatto in estate, troveremo le soluzioni giuste per mantenere l’approccio sostenibile di cui abbiamo parlato ma allo stesso tempo migliorare la squadra come la proprietà, Mourinho e io vogliamo.”

Basterà questo fiume di parole? Serviranno le prossime che, senz’altro, Mou spenderà per ribadire il concetto? O al prossimo pareggio o sconfitta si tornerà a chiedere la testa dello Special One? Non sono valsi gli endorsement che nei giorni scorsi due bandiere come Totti e De Rossi hanno speso su Mou per allentare polemiche che, nei bar, nei social e nella radio, non smettono di auto-alimentarsi. Perché lo sappiamo. Nella Città Eterna è così: tutto è eterno finché dura. E gli allenatori, spesso, non durano poi così tanto quando a farsi duro è il gioco. Ma è quello il momento in cui i duri, appunto, iniziano a giocare.