Informare ed essere informati: due diritti fondamentali dei sistemi democratici in buon stato di salute. Ma se il settore dell’informazione, “vitale per la democrazia”, è sempre più precario, “non ci può essere informazione di qualità”. Informare ed essere informati: due principi che camminano insieme, ma su gambe diverse, verso la stessa meta.
Con queste premesse la Federazione nazionale della stampa italiana è scesa oggi in piazza, insieme ad altre sigle sindacali, per richiamare l’attenzione del governo su diversi temi: “dall’abolizione del carcere per i cronisti al contrasto alle querele bavaglio, dalla tutela delle fonti alla riforma della governance della Rai, dalla revisione del sostegno pubblico al pluralismo alla riforma del sistema radiotelevisivo fino al contrasto alla precarietà dilagante nel giornalismo”.
“Senza lavoro non c’è previdenza” e “senza buona occupazione non c’è riforma che funzioni”, spiegano i rappresentati della categoria, radunatisi davanti a Montecitorio affinché il premier Mario Draghi “dia impulso al confronto sull’informazione e sui diritti, tutele e garanzie da riconoscere” a chi opera nel settore.
Ma la tutela del mondo dell’informazione non riguarda solo cronisti, giornalisti o una ristretta categoria. Informare ed essere informati: due diritti che passano per l’attuazione dell’art. 21 della Costituzione, baluardo della nostra democrazia.
“I giornalisti, che sono gli operatori dell’informazione, da ormai più di un decennio stanno attraversando una crisi incredibile. I giornalisti sono sempre più precari, il loro istituto di previdenza tradizionalmente autonomo sta collassando per le eccessive uscite e nessuna assunzione, per la decontrattualizzazione e la precarizzazione”, spiega Anna Del Freo, segretario generale aggiunto Fnsi. “Questo oltre a essere un danno per la categoria è una danno per tutta l’informazione del Paese. Su questo credo non ci sia ancora consapevolezza”.
“Siamo qui per la libertà – fa eco una rappresentante del sindacato giornalisti Abruzzo – perché la libertà, in Italia come in ogni altro Paese, ha necessariamente un costo e questo costo è il lavoro dei giornalisti, che sono qui per chiedere al governo risposte sulla previdenza e soprattutto sul lavoro. Lavoro troppo spesso sottopagato e crisi aziendali pagate dai lavoratori. Soprattutto dai lavoratori più deboli, ovvero i collaboratori e i lavoratori autonomi”.
“Fino a oggi la nostra posizione non è mai stata riconosciuta”, sottolinea Anna Tarquini, riferendosi al gruppo dei “giornalisti esodati”, lavoratori dipendenti di aziende fallite. “Giornalisti che non hanno potuto usufruire della 416 come gli altri colleghi. Tradotto: mentre noi eravamo senza cassa integrazione né disoccupazione, i giornalisti delle grandi testate andavano in pensione a 58 anni con pre-pensionamenti, cosa per noi non applicabile. Noi da sempre chiediamo che questa cosa venga riconosciuta”.