E ora dove sorgerà lo stadio della Roma? Se lo chiedono i tifosi che da anni aspettavano quella prima pietra mai poggiata, se lo chiedono anche i Friedkin, che di sicuro sanno solo che non sarà il progetto di James Pallotta a prendere vita. Per diversi motivi: l’idea nata ormai dieci anni fa, quando il sindaco di Roma era Ignazio Marino, è diventata vecchia. Si è attorcigliata nelle lungaggini burocratiche e nelle migliaia di cubature previste per l’impianto.
Più che uno stadio era una vera e propria cittadella. Con tanto di negozi, palazzi e uffici. Inizialmente erano addirittura prevista due grattacieli, poi tagliati dalla sindaca Raggi. L’emergenza sanitaria ha modificato però le regole di vita e ora che gli uffici sono vuoti causa smart working se ne può fare anche a meno. Per non parlare del rischio di ritrovarsi imbottigliati nel traffico a ogni partita, perché per migliorare le infrastrutture della zona serviva un massiccio intervento.
In mezzo giravolte politiche, vincoli paesaggistici e l’inchiesta per corruzione. I Friedkin si sono defilati dall’intricato labirinto venerdì, con un comunicato in cui annunciavano la fine del progetto Pallotta. Ora quindi la Roma cerca una nuova casa. Il nuovo progetto deve essere “green” ed “integrato” col tessuto urbano“.
Dove può sorgere allora? Le possibilità non mancano. Esclusa Tor Di Valle, che richiederebbe un monumentale lavoro sulle infrastrutture, restano in piedi le ipotesi Tor Vergata e uno stadio in città. Che si sposerebbe quindi con il criterio di integrazione nel tessuto urbano. L’idea sarebbe infatti quella di virare su un progetto più piccolo, fatto dell’impianto e poco altro. Riparte il toto-stadio, come dieci anni fa.