“Allontanando da sé il calice (non proprio amarissimo) della rielezione, Mattarella è stato coerente con se stesso. E sincero con gli altri. Egli sembra infatti avviato a chiudere un settennato difficile con un bilancio assai positivo. Restare più a lungo lo esporrebbe a una certa fatica e a qualche rischio. Finendo per contraddire involontariamente la sua stessa figura pubblica.
E’ probabile che nella sua ritrosia ad immaginarsi rieletto (come fu per Napolitano) concorrano insieme considerazioni istituzionali e politiche, e altre più personali. La fisiologia del sistema prevede infatti che ogni sette anni si cambi inquilino sul Colle. E per quanto quella responsabilità sia stata esercitata con singolare sobrietà, il rischio che venga rafforzato il profilo ‘monarchico’ della più alta istituzione repubblicana costituisce una remora in più a fare il bis.
Anche prima di salire al Quirinale, Mattarella ha evitato di connotarsi come un uomo di potere. Non gli è mai appartenuta la ferocia di certe contese, né la sapiente pianificazione di una carriera. Semmai, è stato sospinto verso la politica da circostanze drammatiche e ne ha poi salito i gradini con un incedere felpato e discreto e non con il passo di carica del leader ansioso di comandare.
Dunque, c’è da credere alle sue parole quando dice di volersi ‘riposare’. Questa sua ansia dovrà però fare i conti, inevitabilmente, con un’altra ansia, non meno cruciale. E cioè quella di tenere al riparo il governo Draghi, la sua creazione politica più importante e strategica. E’ qui infatti che si giocherà il destino del paese -e che si traccerà anche, inevitabilmente, il bilancio storico del settennato mattarelliano.
Ora, è noto che ai nastri di partenza della corsa verso il Quirinale prossimo venturo si affolla una ressa di candidati di tutti i tipi e di tutti i colori. Quelli più graditi a sinistra, quelli più graditi a destra. Candidati a volte un po’ coreografici altre volte più abilmente dissimulati, altre volte ancora quasi indecifrabili. La loro cifra vorrebbe essere notabilare, istituzionale per l’appunto. E dunque politicamente neutra o quasi.
Il fatto è però che ognuno di quei nomi, e di tutti gli altri che vi si possono aggiungere, appare destinato a modificare gli equilibri nella compagine governativa. E infatti, o la maggioranza ‘draghiana’ riesce a rispecchiarsi in un nome, uno solo, e allora la sua compattezza ne può uscire perfino rafforzata. Oppure invece, come è più probabile, si divide tra nomi diversi, e in quel caso verrebbe messa a rischio la prosecuzione del cammino di governo.
Non solo. Occorre a quel punto che i soci di maggioranza siano d’accordo anche sulla data del voto. Altrimenti, se gli uni scommettono sulla naturale conclusione della legislatura nel 2023 e gli altri mostrano di aver fretta di votare il prima possibile, le fibrillazioni all’ombra di Draghi rischiano una volta di più di andare fuori controllo. Cosa che alcuni accenni di questi ultimi giorni sembrano già anticipare.
E’ qui che il ‘riposo’ del capo dello Stato viene seriamente minacciato. Egli ha eretto in questa seconda metà della legislatura una costruzione mirabile e possente che consente al paese di rivendicare le risorse del Pnrr e di immaginare un virtuoso processo di riforme civili e sociali. Ma quella costruzione sembra aver ancora bisogno di un mattone in più. E sarà solo una scelta condivisa sul prossimo Quirinale ad aggiungere quel mattone che ancora manca”.
di Marco Follini