Scontro totale tra minoranza Dem e Renzi sulle riforme costituzionali. I primi, annunciano di aver messo a punto un pacchetto di emendamenti al ddl ora all’esame di palazzo Madama, firmati da 28 senatori (il documento “Avanti con le riforme costituzionali” era stato sottoscritto da 25), in cui si insiste sul tema del Senato elettivo. Il secondo ribatte dicendo: la cosa non mi preoccupa più di tanto, andiamo al voto “e vediamo chi avrà i numeri”. Di provvedimenti, aggiunge, ne sono stati adottati tanti senza il voto di “una parte del Pd”. Altrettanto dura la risposta di Pierluigi Bersani: “Chi ha responsabilità non demonizzi chi critica”,”non è possibile che appena si apre bocca si parli di Vietnam”. Ma non è solo il braccio di ferro interno al Partito democratico a surriscaldare il clima politico in quest’estate torrida. Anche l’appello rivolto alle forze politiche dall’ex Capo dello Stato Giorgio Napolitano, a non rimettere in discussione la riforma del Senato, scatena la polemica. In molti, infatti, soprattutto i dissidenti Dem e FI, vi leggono un tentativo “a gamba tesa” contro il presidente del Senato Pietro Grasso che dovrà dire la sua sull’ammissibilità o meno delle proposte di modifica presentate al testo Boschi. E soprattutto su quell’articolo 2 che è il vero cuore della riforma. Napolitano nega di aver voluto riferirsi a Grasso: “Nessun riferimento polemico al Presidente del Senato”, assicura, ma le perplessità tra i dem restano. “Non concordo affatto con Napolitano”, commenta Rosy Bindi, “l’Italicum e la riforma sono un gran pasticcio”. “Giudico sconcertante il suo intervento a piedi uniti su Grasso, chiamato a dirimere un nodo giuridico istituzionale delicato e controverso quale quello dei limiti all’emendabilità del ddl”, osserva Franco Monaco (Pd). La “sua presa di posizione supera il limite da lui stesso recentemente invocato”, afferma Paolo Corsini (Pd) che sottolinea come “l’autonomia del presidente Grasso costituisca una garanzia per tutti”. “Avrebbe fatto meglio a non dire queste cose”, sostiene Doris Lo Moro (Pd). “Ciò che dice Napolitano non è obbligo per tutti”, chiosa Maurizio Gasparri (FI). “Entrare nel pieno del dibattito, polemizzando sottotraccia con il presidente del Senato – rincara la dose Renato Brunetta – non aiuta un dibattito già estremamente complesso”. E sulla complessità del dibattito non ci sono dubbi, vista anche la mole di emendamenti che sta per abbattersi sulla riforma del Senato: solo la Lega ne ha annunciati 510 mila. Senza contare la “guerra sotterranea” che si sta combattendo sull’articolo 2. I supporter della riforma non vorrebbero farlo rivotare a Palazzo Madama perché le modifiche fatte alla Camera sarebbero “minime” (secondo i Regolamenti parlamentari la camera che esamina dopo può rimettere bocca solo sulle parti del testo modificate) e perché in caso di bocciatura salterebbe l’intero provvedimento. I più critici, invece, vorrebbero rimetterlo ai voti per inserirvi l’ipotesi di un Senato elettivo. In attesa che si sciolga il nodo, che ormai è tutto politico, la minoranza Dem (ai 25 si sono aggiunti Corradino Mineo, Roberto Ruta e Felice Casson) avanza una proposta che, a loro avviso, potrebbe incassare un gradimento ampio e trasversale: prevedere l’ elezione dei consiglieri regionali specificando chi di loro andrà poi al Senato. Proposta presente anche negli emendamenti di Ap-Ncd. E’ chiaro che tutto dipenderà da come verrà inserita tale norma: se “scardinando” l’articolo 2 o agendo altrove come propone Gaetano Quagliariello che affiderebbe a una legge ordinaria il compito di fissare dei criteri ai quali le regioni si dovranno adeguare per consentire che nelle elezioni regionali si indichino i consiglieri destinati alla carica di senatore eventualmente attraverso appositi listini. Ma politicamente, nel Pd, il dado è tratto e a settembre si potrebbe arrivare davvero alla conta. “Ribadiamo di essere aperti al confronto – avverte Renzi – ma non subiamo veti da nessuno”. Renato Schifani (Ap-Ncd) si augura intanto che al tavolo delle riforme torni a sedersi anche FI.