Nell’immaginario comune, quasi fosse un mondo a se stante, quando si parla di rifiuti tossici, il pensiero corre subito all’angustiata area della ‘Terra dei fuochi’, in Campania.
Eppure poche volte, almeno fino ad oggi, è stato rivelato che nel Lazio, viene stoccato un terzo dei rifiuti radioattivi presenti sull’intero territorio nazionale.
A sottolinearlo, è il rapporto di Legambiente ‘Rifiuti Radioattivi’. Attualmente infatti, alcuni residenti laziali convivono con vicino le loro case, qualcosa come 9.284 metri cubi di tali veleni, stipati in due differenti siti ‘temporanei’: quello dell’ex Centrale di Borgo Sabotino (Latina), ed il Centro Ricerche Enea Casaccia (Roma). Anzi, aggiungiamo, se non fosse per una manciata di metri che sconfina appena nella Campania, c’è da considerare anche il sito dell’ex Centrale del Garigliano, a Sessa Aurunca, con altri 2.967 metri cubi di scorie radioattive.
Come denuncia Roberto Scacchi, presidente di Legambiente Lazio: “La pubblicazione della Carta Nazionale delle aree potenzialmente idonee ad ospitare il deposito nazionale di rifiuti radioattivi, è arrivata solo lo sorso gennaio, con un ritardo mostruoso. Spiegando che le istituzioni hanno il dovere di informare i cittadini rispetto alla gestione dei rifiuti nucleari, Scacchi rimarca che “Il processo nazionale di scelta del luogo, per realizzare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, deve avere tempistiche certe, scelte, progetti e programmi, che non siano calati dall’alto, ma – conclude – partecipati, accompagnati dalla cittadinanza”.
Una situazione decisamente delicata e preoccupante, anche perché, oltre alla presenza delle scorie, già da diversi anni, i territori a sud dell’Agro Pontino (nella foto l’ex centrale nucleare di Latina), si stanno misurando con i veleni industriali che inquinano le falde acquifere, compromettendo così i raccolti agricoli.
Altro che la ‘Terra dei fuochi’…
Max