Minacce, armi puntate contro, proiettili davanti alla porta, documenti firmati a forza. Sei sono destinatari di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, tre della misura degli arresti domiciliari. Avrebbero fatto parte di un giro di ricettazione d’auto rubate. L’operazione si chiama Crazy Cars ed è stata condotta dagli agenti della Squadra Mobile di Latina e del commissariato di Cisterna di Latina insieme a dieci equipaggi dei reparti Prevenzione Crimine Lazio, Campania e Umbria. Sequestrati, nel corso di perquisizioni personali e domiciliari a carico degli indagati, conti correnti, beni mobili e immobili, società per un valore complessivo superiore ai 2 milioni di euro oltre a 5 Rolex, un Cartier, 50mila euro in contanti, ma anche 150 grammi di marijuana e un bilancino di precisione e una pistola calibro 6,35 con matricola abrasa. I veicoli rubati, secondo quanto emerso nelle indagini, venivano procacciati con tanto di trasferte, e immessi in città in modo sistematico al termine di elaborare trattative con gli acquirenti, tutte comprovate da intercettazioni. “Ricorre il pericolo concreto e attuale che gli indagati commettono reati della stessa specie. Il pericolo è concreto e si desume dalle modalità e circostanze dei fatti. Le indagini, si è visto, documentano attività illecita stabile, protratta nel tempo, posta in essere sistematicamente” scrive il gip di Latina Giuseppe Cario, spiegando che gli indagati “hanno costituito un sodalizio avente carattere di permanenza stabilmente dedito al procacciamento di vetture provento di furto che reimmettono sul mercato – scrive ancora il gip – Tale circostanza è documentata dalle ripetute ricezioni di veicoli di provenienza illecita monitorate nel breve periodo degli ascolti, veicoli sistematicamente immessi sul mercato”.
Dalle intercettazioni telefoniche fatte nell’ambito dell’inchiesta Crazy Cars dei poliziotti di Latina è emerso come uno degli indagati, titolare di una rivendita di auto e moto, ricettasse macchine rubate con la complicità di due dei destinatari delle misure cautelari in carcere. I tre, secondo gli investigatori, avrebbero ricevuto a Napoli, da persone ancora non identificate, quattro auto di media cilindrata, risultate rubate e, sempre stando a quanto emerso dalle indagini, nascosto le auto per poi metterle in vendita a ignari clienti sul territorio di Latina e provincia.
Nel proseguimento della stessa attività di indagine si è poi sviluppato un ulteriore filone di indagine secondo il quale uno degli indagati, attraverso altri due destinatari delle misure suoi stretti familiari, gestisse di fatto alcune società di compravendita auto con una rivendita commerciale alla periferia di Latina. L’intestazione fittizia dei beni da parte dell'”imprenditore” costituirebbe, secondo gli inquirenti, l’espediente da lui usato per eludere gli effetti ablativi delle misure di prevenzione patrimoniale, essendo tra l’altro già noto alla giustizia, per lo più per reati contro il patrimonio.
Per silenziare un venditore che pretendeva il pagamento di quanto dovuto non mancavano le modalità estorsive. Così come i guadagni delle attività illecite venivano reinvestiti nell’intestazione di immobili, conti correnti e attività formalmente di fittizi intestatari, mero schermo del reale titolare che si metteva così al riparo da possibili misure di prevenzione. L’indagine è nata dalla denuncia di un romeno, presentata dopo il ritrovamento di un proiettile inesploso sulla porta di casa. Un avvertimento, secondo gli investigatori, rivolto alla vittima affinché cedesse la propria auto a uno degli indagati, rinunciando al compenso pattuito, circa 20mila euro, che avrebbe dovuto ricevere in quattro assegni da 5mila euro ognuno. Non solo: al romeno proprietario della Mercedes venivano fatte telefonate minatorie perché restituisse i quattro assegni oppure veniva puntata contro una pistola a tamburo. In un’altra occasione uno degli indagati ha raggiunto la vittima a casa costringendolo a scrivere a mano una falsa attestazione con la quale dichiarava di aver ricevuto 17.500 euro per la vendita della macchina, specificando di riconsegnare uno degli assegni e 600 euro “per il disturbo”.
“Mattia guarda che sta a scoppia la m… Convinci Cristian a portare i soldi al rumeno perché qua se annamo a fa la galera tutti, questa è un’estorsione 6/12 anni… io già li ho fatti quattro anni e raga’… non c’entravo” parlava uno degli indagati in un’intercettazione riportata nell’ordinanza di custodia cautelare. “Adesso se non te ne vai, vado a casa prendo la pistola e ti sparo”. La minaccia era rivolta a un uomo che dopo aver venduto la propria auto all’autosalone degli indagati lamentava di non essere riuscito a incassare gli assegni corrisposti. “L’intimazione alla riconsegna degli assegni – viene riportato nel provvedimento del gip – era accompagnata da minacce di morte”, anche con una pistola.
Nell’ordinanza inoltre si fa riferimento alla “situazione reddituale sperequata rispetto agli investimenti effettuati negli anni- scrive il gip nel capitolo relativo al sequestro preventivo -. I redditi dichiarati sono di poco al di sopra della soglia di povertà complessiva nei 14 anni presi a riferimento. Mentre le risorse finanziarie impegnate complessivamente per gli investimenti ammontano a ben 2.221.639 euro”.
“L’intestazione fittizia delle quote societarie, la riscossione dei canoni di locazione oltre che degli interessi che maturano sui conti correnti comporta, di volta in volta, l’intestazione fittizia anche dei ricavi che ne conseguono, sicché la condotta deve considerarsi perdurante nel tempo e va interrotta” conclude il provvedimento del gip.