Una ricerca italiana fa luce sul meccanismo di protezione cellule nervose. Negli ultimi anni diversi lavori scientifici hanno suggerito che la noradrenalina (o norepinefrina), un ormone che nel cervello agisce da neurotrasmettitore, possa essere un elemento cruciale per la protezione delle cellule nervose. Ora una ricerca condotta dall’Unità di Neurobiologia dei disturbi del movimento dell’Irccs Neuromed di Pozzilli (Is), in collaborazione con l’Università di Pisa e l’Università Sapienza di Roma, chiarisce uno dei meccanismi attraverso i quali la noradrenalina è capace di evitare la neurodegenerazione, elemento caratteristico di diverse patologie, come Alzheimer e Parkinson.
Lo studio, pubblicato sulla rivista ‘International Journal of Molecular Sciences’, è stato condotto su cellule nervose coltivate in laboratorio. “Un metodo classico per ottenere effetti neurotossici – spiega Carla Letizia Busceti, ricercatrice dell’Unità di Neurobiologia dei disturbi del movimento dell’Irccs Neuromed – è quello di sottoporli a metanfetamina. La somministrazione di questa molecola in modelli animali, o la sua assunzione come sostanza d’abuso nell’uomo, genera infatti disturbi cognitivi assimilabili alle demenze degenerative, oltre a facilitare l’insorgenza di malattia di Parkinson. Questo ha reso la metanfetamina un utile modello per comprendere i meccanismi alla base di specifiche degenerazioni neuronali”.
Gli esperimenti condotti dal Neuromed hanno dimostrato che, somministrando preventivamente noradrenalina, i neuroni risultavano completamente protetti dalla tossicità indotta da metanfetamina. “Sapevamo – aggiunge Francesca Biagioni, ricercatrice dell’Unità di Neurobiologia dei disturbi del movimento dell’Irccs Neuromed- che nella malattia di Parkinson e nelle demenze degenerative si realizza una precoce disfunzione dei neuroni che producono noradrenalina. Fino ad oggi tuttavia non era chiaro in che modo la perdita del neurotrasmettitore fosse in grado di favorire queste malattie”.
“Con il nostro studio – prosegue Biagioni – abbiamo potuto vedere che la noradrenalina agisce su due bersagli cellulari: i mitocondri e la via autofagica (uno dei più importanti processi attraverso i quali le cellule si rinnovano, eliminando e riciclando componenti non più funzionanti). I due sistemi vengono così protetti dalla neurodegenerazione indotta da metanfetamina, che, ricordiamo, è simile a quella che avviene nella demenza degenerativa e nel Parkinson. Abbiamo anche potuto vedere come la noradrenalina eserciti questi effetti agendo su uno specifico tipo di recettori, i beta 2, che, se stimolati da farmaci specifici sono in grado di incrementare la protezione”.
“La perdita di noradrenalina nel cervello – commenta Francesco Fornai, ordinario di Anatomia dell’Università di Pisa e responsabile dell’Unità di Neurobiologia dei disturbi del movimento del Neuromed – anticipa spesso l’insorgenza dei sintomi in malattie come Alzheimer o Parkinson. Conoscere i recettori responsabili dell’effetto protettivo della noradrenalina, e la dimostrazione dei meccanismi molecolari che vengono reclutati per esercitare neuroprotezione, apre nuove strade terapeutiche per quelle patologie”.