Se una volta erano le ‘malelingue’ o peggio, le infime ‘voci del popolo’ a gettare fango sulle persone, attirando sulle malcapitate vittime di rabbia, odio e rancori (spesso con esiti ugualmente disastrosi), oggi con l’avvento delle nuove tecnologie il lupo ha ‘cambiato’ il pelo ma non il vizio. Il problema è dato proprio dalla straordinaria penetrabilità dei mezzi social i quali, infangando attraverso post o foto, oltre che difficilmente ‘contrastabili’, una volta messi in moto hanno anche la sciagurata sventura di non subire eliminazioni, continuando ad così ad amplificarsi come metastasi impazzite all’infinito.
“Un fenomeno globale che, ancora una volta, dimostra quanto possa essere fragile l’identità nell’ecosistema digitale. Un recentissimo studio statunitense evidenzia come le persone colpite siano quasi 1 su 10, con percentuali ancora più elevate nel caso dei minori. Se a questo aggiungiamo che il 51% delle vittime contempla la possibilità del suicidio, ci rendiamo conto della gravità del problema. Il revenge porn è parte di un più ampio fenomeno, la pornografia non consensuale (Ncp), non necessariamente connesso a ‘vendette di relazione’ e che attiene alla condivisione/diffusione digitale, senza il consenso della persona ritratta, di immagini di carattere sessuale: immagini riprese consensualmente o volontariamente nel corso di un rapporto sessuale o di un atto sessuale ma destinate a rimanere private o ad essere condivise privatamente; immagini carpite da telecamere nascoste; immagini sottratte da dispositivi elettronici; immagini riprese nel corso di una violenza sessuale”.
Ed eccolo quest’odioso e al tempo stesso pericolosissimo fenomeno, che il presidente dell’Osservatorio Cyber Security dell’Eurispes Roberto De Vita, studia e cerca di combattere da anni. Anche perché, sottolinea il presidente, “Il revenge porn ha raggiunto, negli ultimi anni, proporzioni allarmanti. I casi di cronaca e gli studi che hanno analizzato il fenomeno della diffusione non consensuale di immagini private a sfondo sessuale a scopo di vendetta evidenziano il rischio di una esposizione generalizzata: nessuno è escluso, dagli adolescenti fino ai rappresentanti delle Istituzioni, passando per personalità pubbliche e per cittadini comuni”.
Come dicevamo, all’origini di tale fenomeno, la ‘disponibilità’ di siti che, inevitabilmente facilitano la veicolazione della Ncp, dando modo a chi malintenzionato di caricare con grande facilità – come nel caso delle ‘vendette amorose – foto e video intimi dei loro ex partner.
Un particolare da non trascurare, il fatto che, come ha spiegato uno studio condotto da Microsoft e CareerBuilder, almeno l’80% dei datori di lavoro ormai ricorre ai motori di ricerca e ai social media, per informarsi circa i candidati ai posti di lavoro. Ebbene, proprio da quanto ‘di brutto’ spesso postato da altri, circa il 70% delle volte, la pessima ‘web reputation’ appurata concorre ad un’eliminazione.
In questo senso il Cyber Civil Rights Initiative, ha recentemente effettuato uno studio dove anche l’8,02% degli adulti ha ammesso di essere vittima di NCP. Il 70% di questi ha denunciato di aver subito la condotta dell’attuale partner (31,15%) o, quasi il 40%, di un’ex partner.
A tal riguardo il presidente dell’Osservatorio Cyber Security dell’Eurispes, “I dati riguardanti i minori sono ancora più preoccupanti, anche a causa del crescente uso del sexting. Uno studio condotto nel 2018 in seno alla American Medical Association ha stimato che su 110.380 partecipanti minorenni, rispettivamente il 14,8% e il 27,4% di questi aveva inviato o ricevuto sexts. Inoltre, il 12% aveva inoltrato almeno uno di questi sext senza consenso”. Minori spesso ‘ricattati’ o forzati a farlo. Diffuso e temuto in tutto il mondo, il Revenge Porn è stato per primo combattuto nelle Filippine attraverso una specifica e severissima legge. Iniziativa seguita a ruota da molti altri paesi.
Da noi, seppure con ‘colpevole’ ritardo, oggi finalmente, all’interno del ‘Codice Rosso’ (in vigore dall’agosto scorso), è stato inserito il nuovo art. 612 – ter c.p., ‘Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti’. La pena prevista, se veramente applicata, sarebbe all’altezza: reclusione da uno a sei anni, Tuttavia, quelle poche che al momento sono state sanzionate, sono per lo più multe, per altro comprese tra i 5.000 ed i 15mila euro.
“Da un punto di vista tecnico – spiega ancora rimarca Roberto De Vita – è possibile avere protezione nei confronti dei fenomeni esposti con una denuncia immediata, che attivi l’assistenza di public e private enforcement, rappresentati rispettivamente da reparti specializzati delle Forze dell’ordine, come la Polizia Postale e delle Comunicazioni, e dai consulenti privati che con questi collaborano. Ad esempio, in caso di sextortion, se si è in possesso delle immagini con le quali si sta venendo ricattati, è possibile rintracciarle ed eliminarle. Peraltro, collaborando con siti come Facebook o YouTube, è possibile fornire le immagini; in tal modo, conoscendo già l’impronta del file, questi sono in grado di impedirne la pubblicazione prima ancora che avvenga”.
Max