La frontiera dell’occhio bionico si avvicina sempre di più. Una protesi retinica innovativa e di ultima generazione, frutto della collaborazione internazionale, è stata impiantata al Policlinico Gemelli di Roma su un paziente 70enne non vedente per una malattia ereditaria della retina, che ora “potrà rivedere i propri cari, riconoscere gli ostacoli e gli oggetti. Dal buio assoluto, anche solo ridare un po’ di luce è un grande risultato”. Lo sottolinea all’Adnkronos Salute Stanislao Rizzo, docente di Oftalmologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e direttore dell’Unità operativa di Oculistica della Fondazione Policlinico Gemelli Irccs, che ha eseguito l’intervento.
Il paziente è in grado di vedere in modo elettronico, grazie a un paio di occhiali ‘hi-tech’ collegati alla retina. “Non ha avuto complicanze – evidenzia il chirurgo – Sulla carta le premesse di queste protesi sono davvero eccezionali, aspettiamo qualche settimana per verificare i risultati. Speriamo che il paziente possa recuperare una autonomia visiva in modo completo. In questo momento deve fare riabilitazione ed essere accompagnato”.
“Esistono delle malattie della retina su base ereditaria che purtroppo portano, per fortuna in piccola percentuale, ad una cecità completa – spiega Rizzo – Ebbene, queste malattie fino a qualche anno fa erano considerate incurabili; dovevamo dire che ai nostri pazienti che non c’era nessun terapia efficace per prevenire la cecità dovuta a questa malattia. Oggi, dopo anni, riusciamo ad avere qualcosa di efficace: le terapia genica. Ovvero modificare il patrimonio genetico dei pazienti mediante l’introduzione di un virus, in questo caso un patogeno buono, che porti nel patrimonio genetico la correzione all”errore’ nel Dna del paziente. Oppure, nelle fasi più avanzate della malattia ereditaria, quando la vista del paziente è limitata solo alla luce, le protesi elettroniche retiniche”.
“L’esperienza su queste protesi l’ho iniziata nel 2011 in Toscana – racconta Rizzo – Erano protesi retiniche che si chiamavano ‘Argus’, che avevano a disposizione 60 elettrodi e con cui abbiamo avuto buoni risultati: il paziente recuperava una certa autonomia, riusciva a vedere le immagini, le ombre gli oggetti. Pochi giorni fa qui al Gemelli abbiamo utilizzato un nuovo sistema di protesi retinica, ancora più sofisticato, con più di 400 elettrodi, che assicura al paziente una visione probabilmente migliore. Il paziente, operato in anestesia totale, non ha avuto complicanze. L’intervento dura circa 2 ore, che per l’oculistica sono tantissime, se pensate che una operazione alla cataratta dura 20 minuti, e dopo 24 ore” il paziente “già vedeva la luce”.
Alla base dell’operazione portata a termine al Gemelli “c’è un protocollo sperimentale internazionale”, rimarca lo specialista che puntualizza: “Non sappiamo che tipo di vantaggi potranno avere i pazienti in futuro, ma è certo che le premesse sono straordinarie. Questa è una tecnologia frutto della collaborazione con un’azienda di Israele, che produce la retina elettronica vera e propria, e di un’azienda tedesca produttrice di occhiali e microscopi, che realizza gli occhiali elettronici. Il sistema riceve senza fili l’alimentazione dagli occhiali posti sul viso del paziente”.
L’entusiasmo per le prospettive che apre questo tipo di protesi della retina è alto. “Speriamo che il paziente possa recuperare una autonomia visiva in modo completo, in questo momento deve essere accompagnato, però – ribadisce Rizzo – Ma con questo protocollo vogliamo verificare la sicurezza. Per i risultati definitivi dobbiamo aspettare un paio di mesi”. Un punto fondamentale sarà la riabilitazione post-intervento, perché “il paziente dovrà imparare a vedere in modo diverso. Questo tipo di tecnologia permette una visione elettronica e non naturale: immagini ‘pixelate’ in bianco e nero, o in scala di grigi”.