’’Se c’è qualcuno di noi che sa parli, se c’è qualcuno di noi che ha sbagliato paghi”. Non vuole ombre, Matteo Renzi, sul Pd. Un partito che raccoglie la “sconvolgente attestazione di speranza” del 40,8% degli elettori deve assumere su di sé la “responsabilità” di riformare il Paese. Ma deve anche continuare a camminare “a testa alta” senza fare “sconti a nessuno” sulla corruzione, “neanche a se stesso”. Renzi riunisce l’assemblea nazionale del partito per la seconda volta. A dicembre, era stato appena eletto segretario. Sei mesi dopo, è premier e a fare la differenza c’è quel 40,8% stampato a caratteri cubitali sullo sfondo verde, con bandiere tricolore, che fa da scenografia. Oggi si festeggia il risultato delle europee e delle amministrative (alcuni ballottaggi persi non adombrano la “vittoria”), ma c’è anche da delineare la strategia politica dei prossimi mesi, per “investire” quei voti in cambiamento. Una responsabilità sulle spalle del Pd intero: “Adesso tocca a noi. #Italiariparte”, c’è scritto alle spalle del podio da cui Renzi parla. “Ciascuno avverta l’emozione, ma anche la responsabilità che fa tremare i polsi”, dice il leader dei Dem. Perché gli italiani non hanno voluto premiare il Pd o il “singolo” Renzi, ma investire speranza in una proposta di cambiamento. Con l’avvertimento che proprio “non ce n’è più”. Nelle prossime settimane, nei prossimi mesi, bisognerà “giocare la battaglia” su tre “sfide” principali: il lavoro, l’Europa, dove il Pd “proporrà soluzioni per imprese e famiglie e non per chi in Ue ha vissuto finora di rendita”, e una “gigantesca sfida educativa e culturale” che parte dalla scuola ma passa anche attraverso la Rai (“Siamo a un bivio, va aperta la discussione”) e l’innovazione. Ma il lavoro, innanzitutto. Perché se il 40% del Pd alle europee “stupisce”, il 40% di disoccupazione giovanile “sconvolge”. E si devono mettere in campo tutte le possibili misure, sapendo che nessuna da sola basta, ma che tutte servono. E attenzione, è il messaggio per la sinistra, a non fare in Parlamento un ddl lavoro “con il torcicollo, rivolto al passato” ma che abbia “in sé il futuro”. C’è poi il capitolo corruzione. Il giorno dopo le misure del Cdm, Renzi ribadisce che il Pd non accetta lezioni da nessuno sulla legalità e ha votato per mandare in carcere Genovese. Ma non ha più senso il “derby ideologico” tra giustizialisti e garantisti, afferma il premier. Il Pd fa le riforme della giustizia ed è garantista ma è inflessibile con i Dem che corrompono e chiede le dimissioni a chi, come Orsoni, ha patteggiato la pena e dunque è “colpevole”. “Chi ha notizie di reato salga le scale del tribunale: non aspetti che i magistrati vadano da loro”, è l’appello di Renzi ai Dem. Via ogni ombra. La platea dell’Hotel Ergife applaude più volte il segretario. Anche quando rispolvera il mantra della “rottamazione” e impartisce alla “nuova generazione” il principio, che applica anche a se stesso, per cui “non si può fare politica per tutta la vita”. Lo applaudono quando ironizza sul M5S: “In tre anni hanno preso tre capoluoghi di provincia: mancano 105 anni e avranno in mano l’Italia, basta avere pazienza,toccherà a loro”. C’è una parte di platea che non applaude, invece, quando si tocca il capitolo delle riforme. Con i ’dissidenti’ Renzi usa il pugno di ferro: “Non espelliamo nessuno, ma niente ricatti”, dice. La tabella di marcia è serrata (“entro settembre” l’Italicum) e il premier non intende mollare. Una dopo l’altra, manterrà le promesse di cambiamento. Da una riforma del sistema fiscale per combattere il “tafazzismo culturale” della burocrazia, fino alle unioni civili cui mettere mano dopo l’estate, passando per “un intervento forte sulle infrastrutture entro luglio”. Bisogna “cambiare l’Italia per restituire dignità alla politica”, dice ai suoi il segretario del Pd: “E’ una sfida in cui serve il sostegno di tutti”.