Niente ricatti: sulle riforme si deve andare avanti. E non c’entra nullae la liberta’ di coscienza e l’articolo 67: in Commissione si rappresenta il partito, in Aula si esercita il dissenso. Matteo Renzi prende la parola in assemblea per mettere fine alle polemiche. Lo fa a suo modo, snocciolando una “serie impressionante di cose da fare” nei prossimi mesi e rivendicando per se’ e per il partito il successo delle europee. Quel 40 per cento, ribadisce ancora una volta, mette tutti davanti a una grande responsabilita’, perche’ non e’ un punto di arrivo, ma il segno di una scommessa da giocare d’ora in poi: “e’ un’attestazione di speranza da parte degli italiani”, che impone di mettere da parte quella “malattia delle correnti”, il ’cognomificio’ che parte dai renziani e porta ai bersaniani passando per altre correnti mutuate da questo all’altro esponente. Per questo Renzi ricorda che gia’ dalla prossima settimana si lavorera’ a riforme, pubblica amministrazione, giustizia, senza dimenticare il capitolo Europa e la scuola. L’ordine del giorno dell’assemblea, tuttavia, recita elezione del presidente. Un vertice notturno a palazzo Chigi tra Renzi e il vice segretario Lorenzo Guerini porta a far cadere la scelta sul leader dei Giovani Turchi, Matteo Orfini. Il nome del giovane esponente romano era stato fatto con insistenza nei giorni scorsi e tuttavia la notizia coglie impreparati gli esponenti di Area Riformista. Indiscrezioni, poi smentite dall’ufficio stampa del Pd, parlano di un ultimo tentativo fatto dalla minoranza per Nicola Zingaretti. Ma quello che non sembra essere piaciuto, come spiegato dal bersaniano Alfredo D’Attorre e’ stato il modus operandi: non si e’ tenuto conto, ha spiegato il deputato,”dei criteri individuati collegialmente”. Ora, rimane il nodo della segreteria per la quale la minoranza di Area riformista lascia carta bianca al premier: “decida Renzi, quello che interessa e’ la linea politica, ma non sono piaciuti i toni utilizzati dal presidente dei senatori Luigi Zanda e dallo stesso premier. Resta da capire quali siano i luoghi di discussione in questo partito”, conclude D’Attorre. L’idea del segretario, pero’ e’ di procedere in settimana al completamento della squadra che guida il partito. Il dissenso interno stenta a salire sul palco, Renzi randella Mineo per la battuta sull’autismo e la platea esulta. Pippo Civati non interviene: “Con questo clima da torcida e’ inutile, ma resta il problema della discussione interna”. Alla fine Walter Tocci interpreta il disappunto di questi giorni con un intervento molto applaudito: “Caro Matteo, hai dato una sberla alle mosche, qui non c’e’ nessuno che vuole conservare il bicameralismo. Occupati di riforme da capo del partito, non da segretario del governo”. Renzi non replica dal palco, ma tira dritto sulle riforme che sono, spiega, “la precondizione per la crescita”, ma anche perche’ l’Italia conquisti un ruolo da protagonista in Europa. Alla vigilia del semestre europeo, il capo del governo mostra di avere una road map precisa delle cose da fare e del criterio da seguire: i nomi per il rinnovo delle istituzioni, dal consiglio europeo alla commissione, non sono il problema. La questione e’, semmai, cambiare la Ue partendo dalla lotta alla disoccupazione – “c’e’ un altra doppia cifra impressionante che ha davanti il quattro ed e’ quella della disoccupazione giovanile” – e la scuola per la quale il premier propone, dopo i provvedimenti sull’edilizia, una cura che parta dal valore degli insegnanti: “Non e’ possibile che chi si prepara ad entrare in una scuola lo faccia ormai svuotato di entusiasmo e consapevole di non poter nemmeno rimproverare un alunno senza incorrere nelle ire dei genitori”.