Dolori ovunque, rigidità, stanchezza, gonfiore a polsi e dita delle mani che si fa sentire di notte e al mattino. E’ l’artrite reumatoide, malattia autoimmune che compare in persone giovani, tra i 40 e i 60 anni, ancora nel pieno della loro attività sociale, familiare e lavorativa. In Italia convivono con la patologia circa 300mila persone, secondo la Società italiana di reumatologia, in prevalenza donne (con un rapporto di 3 a 1 sugli uomini). Se non controllata e ben gestita, l’artrite reumatoide avanza. E così, compiere gesti quotidiani e banali come salire le scale, fare i lavori di casa o aprire una bottiglia diventa impossibile. Per questi pazienti (e i reumatologi), la parola d’ordine è remissione.
“Sappiamo che la remissione non significa guarigione, ma per noi pazienti è una vacanza dalla malattia – afferma Antonella Celano, presidente dell’Associazione nazionale persone con malattie reumatologiche e rare (Apmarr) – Significa poter convivere con l’artrite reumatoide senza drammi. La patologia fa sì parte di noi, ma non ci condiziona, non è più una spada di Damocle. La remissione consente di riappropriarci del nostro tempo, dei nostri progetti, ma tutto è legato al fattore tempo. Una remissione è infatti possibile solo se si arriva a una diagnosi precoce. E il tempo è fondamentale tanto per il paziente quanto per il medico, che deve immediatamente accertare la patologia per poi raggiungere l’obiettivo della remissione con i farmaci adeguati. Purtroppo, a causa delle lunghe liste di attesa, arrivare a una diagnosi tempestiva è spesso impossibile. Non tutti i pazienti possono permettersi visite a pagamento”.
L’artrite reumatoide è in questi giorni al centro del meeting Eular2021 (European League Against Rheumatism), previsto inizialmente a Parigi e trasmesso invece in streaming, per il secondo anno consecutivo, causa pandemia da Covid-19. Durante l’annuale Congresso europeo di reumatologia, in programma dal 2 al 5 giugno, l’Apmarr ha ricevuto il premio per il miglior abstract presentato, unica associazione di pazienti in Europa a ricevere il riconoscimento per le attività che “abbiamo realizzato in questo periodo difficile di emergenza sanitaria – evidenzia Celano con una punta di orgoglio – per fornire supporto psicologico e servizi concreti a favore delle persone con patologie reumatologiche”.
Sebbene la ricerca scientifica abbia fatto molti progressi, la diagnosi di artrite reumatoide ancora oggi “per molti pazienti è una vera e propria doccia fredda – sottolinea la presidente di Apmarr – Non solo non conoscono la patologia, ma hanno una grande paura del futuro perché non sanno cosa li aspetta. Ecco perché il sostegno psicologico è importantissimo: le persone hanno necessità di metabolizzare la diagnosi e di comprendere che la vita non finisce a causa della malattia, ma che la loro sarà una vita nuova, diversa. Per questo motivo ho sempre auspicato che in sede di diagnosi, all’interno degli ambulatori, ci fosse lo psicologo. La sua presenza aiuterebbe i pazienti così come un paracadute aiuta a planare in maniera dolce anziché rovinosamente”.
Ma se fino a qualche anno fa le persone con artrite reumatoide dovevano riadattare la loro vita alla patologia, “come io stessa ho fatto 50 anni fa – ricorda Celano – quando non avevamo i mezzi a disposizione per la diagnosi e le cure e vivere con la malattia significava vivere di rinunce e dolori”, dal 2000 la vita per questi pazienti è cambiata. “Se si arriva immediatamente dal medico, che può quindi effettuare una diagnosi precoce, anche con l’artrite reumatoide è possibile vivere una vita normale, diventare genitori – assicura – Significa non dover tener conto di un nemico invisibile che è in agguato perché oggi, con cure tempestive e appropriate, la patologia può essere assolutamente tenuta sotto controllo, ma solo se il paziente rispetta l’aderenza alla terapia. E le cure funzionano, come testimoniano i tanti racconti che raccogliamo sul sito dell’associazione, attraverso la rubrica Reumastories. I pazienti con le loro esperienze aiutano altri pazienti a non perdere la fiducia”.
Le cure contro l’artrite reumatoide, un tempo a base di corticosteroidi e antinfiammatori, oggi comprendono nuovi trattamenti, tra i quali i farmaci biologi. “Questi farmaci sono una rivoluzione per il paziente, ma anche per il medico – continua Celano – Dagli anticorpi monoclonali agli inibitori selettivi di Jak, farmaci somministrati per via orale, la ricerca scientifica ha fatto passi da gigante, senza la quale noi non potremmo curarci, nessuno di noi potrebbe andare in ospedale per migliorare il proprio stato di salute”. E durante i lavori di Eular2021 è emerso che tra i farmaci più promettenti in termini di raggiungimento della remissione figura l’upadacitinib, della categoria degli inibitori selettivi di Jak, somministrati per via orale, con grandi risultati in termini di efficacia e sicurezza.
Non solo terapie farmacologiche, però. Fondamentale, per la presidente di Apmarr, è infatti anche il rapporto medico-paziente: “Il medico – conclude Celano – deve imparare a comunicare con il paziente e il paziente ad ascoltare il medico. Ma il paziente, proprio perché vede il medico solo ed esclusivamente in occasione dei controlli, al massimo 4 volte in un anno, deve essere più coinvolto nel proprio percorso di cura ed essere in grado di gestire da solo la malattia e le eventuali emergenze, ma soprattutto di vivere la patologia senza che diventi uno spauracchio”.