Il testo del ‘Piano di ripresa e resilienza’ (Pnrr) è ormai approdato sul tavolo della Commissione Ue che lo sottoporrà al vaglio nell’arco delle prossime 8 settimane per poi trasmetterlo al Consiglio europeo. L’Italia dovrà impegnare il 70% dei circa 191 miliardi destinatici nell’ambito del ‘Recovery fund’ entro la fine del 2022 e il restante 30% entro fine 2023, per poi spenderli effettivamente entro il 2026. Per non perdere i finanziamenti attesi, si prospetta quindi un cronoprogramma serratissimo che sembra lontano anni luce dalle tradizionali performance del nostro Paese in tema di capacità di spesa dei fondi europei.
Su quali leve occorre prioritariamente intervenire per far sì che la storia non si ripeta e non venga quindi sprecata questa colossale e unica occasione di rilancio di una economia stagnante da decenni? La riforma della pa, nei termini prospettati dal Pnrr, sarà in grado di sanare le croniche inefficienze che rischiano di frenare l’impatto positivo che il Recovery potrebbe generare?
Queste alcune delle domande che sono state al centro del secondo tavolo tecnico, organizzato oggi da Centro studi enti locali e dal dipartimento Economia e Management dell’università degli studi di Pisa nell’ambito del progetto ‘Next Generation EU – EuroPA Comune’. Ne hanno discusso autorevoli rappresentanti del mondo delle istituzioni e amministrazioni europee, centrali e locali e tecnici ed esperti di finanza locale e fondi comunitari.
“Il Recovery fund -ha evidenziato Nicola Tonveronachi, ad di Centro studi enti locali- è la prima imponente risposta, dal Dopoguerra in poi, dei popoli europei davanti al flagello del ‘Covid-19’, flagello che ha colpito duramente l’Italia in termini di vite umane, economia e lavoro. La Pubblica amministrazione territoriale deve essere coinvolta in tutte le fasi, visto che la storia ci insegna quanto il segno positivo del 2019 è stato determinato dall’apporto degli enti locali. Gli enti locali, ad esempio, hanno coperto i 2/3 del totale degli investimenti pubblici in risposta alla crisi economica”, ha sottolineato.
Per dare attuazione agli intenti dichiarati nel Piano e riuscire a mettere a terra nei serratissimi tempi previsti, i progetti contemplati nel PNRR, occorre dunque massimizzare il coinvolgimento di Comuni e Province ma anche semplificare in modo radicale. “È prevista -ha ricordato Tonveronachi- una deroga alle procedure del Codice dei contratti, che non vorrà dire assenza dei controlli. Draghi ha ribadito al Senato che ci sarà un intervento che riguarda l’aggancio della regolamentazione comunitaria, una deroga per poter seguire i principi del diritto comunitario invece del substrato di regole, a volte eccessivamente barocche, del Codice dei contratti italiano. Non vuol dire che saranno favoriti i furbi, ma sarà favorita la velocità in garanzia della spesa di questi soldi”.
Sull’importanza delle riforme ha insistito anche Carlo Corazza, capo ufficio del Parlamento europeo in Italia che messo l’accento sul fatto che il ‘Next generation Ue’ si poggi su due gambe: missioni e riforme, appunto. Corazza ha definito l’indiscussa credibilità di Draghi nel contesto internazionale sia una prima garanzia che porta Bruxelles a giudicare con favore il Piano ma chiaramente “alla prova dei fatti, Draghi è atteso nella capacità di attuare queste riforme. L’impianto generale del Piano è sicuramente buono. La prima cosa che va cambiata è la cultura della pa sia centrale che locale: ossia passare da un concetto di amministrazione autoreferenziale e che considera il cittadino come un suddito a dei civil servant, ossia dei servitori del pubblico”.
Qual è la ragione della storica difficoltà del nostro Paese a impegnare e spendere tutte le risorse comunitarie? Corazza su questo non ha dubbi: “Sarò poco diplomatico, perché i cittadini italiani meritano chiarezza: ha frenato la spesa l’inefficienza di alcune Regioni che gestiscono la maggior parte dei fondi europei in Italia. Abbiamo regioni come Emilia Romagna, Lombardia e Toscana che hanno una capacità di spesa eccellente, altre ben lontane”.
A livello comunitario nei prossimi anni, il combinato disposto di ‘Next Generation’ e nuovo bilancio europeo vale 1840 miliardi. “Un buon 60, 70% delle risorse destinate all’Italia -ha detto il capo ufficio del Parlamento europeo in Italia- sarà speso da 4 Regioni, è assolutamente indispensabile che classe dirigente e pubblica amministrazione di queste Regioni siano all’altezza di questa sfida. Questo è l’ultimo treno che passa per far ripartire il Sud”.
Una opinione, quella sulla straordinarietà delle risorse messe in campo dall’Ue che è stata condivisa in maniera quasi unanime dai partecipanti al tavolo, seppure con qualche distinguo. “Pur essendo io considerata una eurocritica -ha detto ad esempio Anna Cinzia Bonfrisco, eurodeputata, membro Commissioni affari esteri e bilanci – non posso che dare atto alla Ue di aver colto la straordinarietà del momento e di essere intervenuta con risorse straordinarie. Queste risorse sono poche, se distinguiamo quello che è il sostegno vero e proprio a fondo perduto e il prestito, parliamo di cifre abbastanza modeste, ma è un dettaglio. C’è un grande dato politico e culturale di assunzione comune di responsabilità che ha valore storico e politico nella costruzione della storia europea”.
Che cosa rappresenterà il Piano nazionale di ripresa e resilienza per le comunità montane? Secondo Marco Bussone, presidente nazionale Uncem (Unione dei Comuni, delle Comunità e degli Enti montani) nel Piano è stato grande spazio ai territori che sono protagonisti di ognuna delle 6 missioni. Il Piano, ha evidenziato Bussone, “affrontare tre grandi questioni: sperequazioni di genere, sperequazione generazionale, sperequazione nazionale (questione meridionale) ma io ne aggiungo una quarta: la questione territoriale. Al Nord come al sud, al centro e nelle isole, noi abbiamo un problema enorme legato alle differenze di opportunità offerte nelle zone urbane e in quelle rurali e montane. Lo spopolamento è ancora un’emergenza nei territori montani di tutto il Paese. Il Paese vince se nessuno rimane indietro”.
Carlo Conte, componente standard setter board, Ragioneria generale dello Stato, ha acceso i riflettori su un aspetto che non è stata oggetto di particolare attenzione nel dibattito generale ma che comporta un radicale stravolgimento per gli Enti locali: tra le tante riforme prospettate nel Pnrr c’è anche quella di dotare la pa di un sistema unico di contabilità, abbandonando per sempre la contabilità finanziaria in favore di quella economico-patrimoniale. “Questo comporterà per gli Enti locali un radicale cambiamento che comporterà una necessità di formazione e aggiornamento professionale davvero rilevante”, ha spiegato.
Capitale umano, dunque, come vera e unica possibile chiave di volta per rilanciare il Paese: un elemento, questo, che è stato centrale anche nell’intervento di Valerio Valla, fondatore e ceo Studio Valla, esperto di sviluppo locale e di programmi comunitari e di fondi strutturali, che ha sottolineato come l’impegno di spesa complessivo che si profila all’orizzonte per l’Italia sia più alto di 3, 4 volte rispetto alla precedente programmazione. “Non sfugge a nessuno che ci troviamo di fronte a qualcosa di ciclopico rispetto agli standard italiani. La macchina dello Stato e delle Regioni è molto complessa e non abbiamo avuto miglioramenti strutturali negli ultimi 20 anni. Non c’è stata, ad esempio, attenzione alla formazione dei dipendenti pubblici, ad esempio (spendiamo mediamente 50 euro a persona, annualmente, come formazione). La grande sfida si gioca sulla pa e se non ragioniamo su un modello di sviluppo della Pubblica amministrazione non andiamo da nessuna parte”, ha concluso.