In tutto il mondo sono 274 i giornalisti finiti in carcere nel 2020, che si conferma un anno da dimenticare anche per la libertà di stampa e di manifestazione del pensiero. A rivelare questo triste record è un nuovo rapporto del Committee to protect journalist (Comitato per la protezione dei giornalisti), che come ogni anno ha stilato il dossier per valutare la situazione dei diritti dei giornalisti in tutti i Paesi. La cifra, inoltre, non tiene conto di coloro che sono stati arrestati e rilasciati.
Il primato, se così si può definire, spetta alla Cina per il secondo anno di fila, con 47 giornalisti finiti dietro le sbarre. Dietro al gigante asiatico ci sono la Turchia con 37 arresti, Egitto con 27 e Arabia Saudita con 24. In Iran i giornalisti in carcere sono 15, ma nel Paese, lo scorso 12 dicembre, il giornalista Ruhollam Zam è stato impiccato perché accusato di collaborazione con i servizi segreti francesi. Zam era un dissidente del regime. La libertà di stampa e di pensiero, la cui importanza viene spesso dimenticata da chi ce l’ha già, è ancora oggi un baluardo dei sistemi democratici.
Quest’anno gli arresti nei confronti dei cronisti sono aumentati “a causa della pandemia” – si legge nel rapporto del Comitato – “quando i governi hanno represso la diffusione del virus o hanno cercato di sopprimere le notizie sui disordini politici”. Il report ha “profondamente turbato” Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite. Il leader del Palazzo di Vetro ha “invitato nuovamente i governi a rilasciare immediatamente i giornalisti detenuti solo per aver esercitato la loro professione”. “Nella nostra vita – ha proseguito – i giornalisti e gli operatori dei media sono fondamentali nell’aiutarci a prendere decisioni informate”. Soprattutto in questi mesi difficili di pandemia, “queste decisioni sono ancora più cruciali e possono fare la differenza tra la vita e la morte”.
Mario Bonito