Non si la placa la furia iconoclasta di alcuni protestanti negli Stati Uniti. Dopo Cristoforo Colombo e qualche oscuro sudista razzista, stava per toccare ad Andrew Jackson, settimo presidente degli Stati Uniti dal 1829 al 1837 e primo del neonato partito democratico, fondato nel 1828.
I manifestanti hanno tentato di rovesciare la statua di bronzo dell’ex presidente a Lafayette Square, in un parco di Washington D.C. vicino alla Casa Bianca lunedì sera, ma sono stati ostacolati dall’intervento della polizia.
“Ehi, ehi, ho, ho, ho, Andrew Jackson deve andarsene” cantavano i manifestanti mentre legavano con delle corde il collo della statua di Jackson per abbatterla. Il tutto a pochi passi dalla residenza del presidente Donald Trump, grande ammiratore del ‘populista’ Jackson. “Numerose persone sono state arrestate a Washington D.C per il vergognoso vandalismo della magnifica statua di Andrew Jackson”, ha twittato il tycoon.
Poco prima dell’abbattimento della statua è intervenuta la polizia di Washington per sedare i centocinquanta/duecento manifestanti. Non a cavallo, come l’ormai innocuo Jackson, ma in elicottero, sparando spray urticanti per disperdere la folla.
Andrew Jackson, tra i primi presidenti Usa a democratizzare le istituzioni, è tristemente noto per il ‘sentiero delle lacrime’, la deportazione forzata dei nativi americani dalle loro terre. “Uno dei peggiori crimini della storia degli Stati Uniti”, secondo lo storico esperto dell’era ‘jacksoniana’ Robert V. Remini.
La rabbia contro le statue di personaggi della storia controversi si è diffusa dopo la morte di George Floyd, il 46enne afroamericano ucciso a Minneapolis durante un fermo di polizia.
Mario Bonito