(Adnkronos) – E’ una mappa omogenea quella che emerge dalle Regioni sul ticket per le prestazioni in codice bianco e verde, i casi non urgenti, nei Pronto Soccorso italiani. In media il ‘balzello’ è di 25 euro, in linea con la normativa nazionale prevista dal decreto del 2017 che apriva ai ticket. Si può però arrivare anche a 50 euro se durante la permanenza in Pronto soccorso vengono effettuati anche esami diagnostici. Il codice, o colore, di priorità viene però attributio alla fine quando il paziente è in uscita e non durante il triage. Se viene confermato un codice bianco, e non ci sono esenzioni, l’assistito dovrà poi pagare il ticket.
In Piemonte il ticket è di 27 euro; in Lombardia di 25; in Liguria parte da 25 ma può arrivare a 36.15 con una prestazione diagnostica aggiuntiva. In Veneto è 25 euro come in Valle d’Aosta e in Friuli Venezia-Giulia. Se ci si reca in un Pronto soccorso della provincia autonoma di Trento, un codice bianco varia da 25 a 75 euro se ci sono esami diagnostici. A Bolzano è 25 euro e 12,50 per i figli a carico.
L’Emilia Romagna ha invece varato un progetto unico e innovativo nell’emergenza-urgenza: in ogni provincia stanno aprendo i Cau, i Centri di assistenza e urgenza, dove saranno presi in carico e curati i cittadini con problemi urgenti, ma meno gravi. Proprio i codici bianchi che finiscono in ospedale se non trovano una risposta dalla medicina territoriale. Siamo già oltre 30mila accessi nei primi 19 Cau – confermano dalla Regione all’Adnkronos Salute – I centri prevedono un’équipe medico infermieristiche adeguatamente formate.
Tornando alla mappa, in Toscana il ticket può arrivare fino a un massimo di 50 euro in base al reddito. In Umbria è di 25 euro, come nelle Marche dove però è compresa anche la valutazione clinica ed eventuali esami. Nel Lazio il ticket è di 25 euro, in Abruzzo anche ma con gli esami di arriva a 36.15. Andando verso il Sud, in Campania, Puglia, Sicilia e Basilicata il ticket è di 25 euro. In Calabria anche ma si può arrivare a 45 euro se ci sono prestazioni specialistiche. In Sardegna infine è di 25 euro per i codici bianchi e 15 per i verdi.
“Non c’è un quadro preciso e dettagliato su questo meccanismo, ogni regione decide una tariffa e fa a modo suo. Quello che possiamo dire sicuramente è che questa misura assolutamente non evita il sovraffollamento dei Pronto soccorso. Pagare 20-30 euro non è certo un deterrente, perché spesso non vengono pagati e tocca all’azienda recuperarli ma soprattutto perché sono tantissime le esenzioni”. Così all’Adnkronos Salute Fabio De Iaco, presidente della Simeu, la Società italiana di medicina emergenza-urgenza, boccia la richiesta dei medici che in Toscana hanno chiesto alla Regione che venga reintrodotto il pagamento del ticket per i codici bianchi e azzurri per evitare il sovraccarico con l’influenza e Covid.
Ma perché non funziona il ticket in Pronto soccorso? “E’ un dato di fatto che ci sono diversi problemi – risponde De Iaco – Ci sono tanti contenziosi, persone che protestano per il codice assegnato, altri che evidenziano come usciti da un Pronto soccorso con un codice bianco poi sono andati in un altro ospedale e hanno ricevuto un colore diverso. C’è chi magari ha aspettato tante ore e non vuole pagare”. C’è un passaggio fondamentale in questo meccanismo: il codice non viene dato quando un paziente entra in Pronto soccorso ma all’uscita. “C’è un medico che in modo soggettivo decide se la persona che ha davanti è un codice bianco o verde – spiega il presidente Simeu – non è il triage a stabilirlo, è un codice di gravità infatti che viene dato alla fine e spesso molti colleghi per non avere scocciature decidono per un codice verde e non bianco, ad esempio”.
Insomma il ticket in Pronto soccorso diventa un gioco ad ostacoli. Dove tra esenzioni, il ‘balletto’ tra codice bianco e verde, e poi la ricevuta solo dopo che la persona sta uscendo, fa sì che in pochi paghino. “In Piemonte dove lavoro è di 27 euro, può funzionare? Non lo so, magari per fare cassa sì ma per evitare caos e code no. Non credo si possa portare a 50-100 euro per una questione morale visto che parliamo di servizio pubblico – avverte – Altro ragionamento potrebbe essere quello di associare al codice bianco anche il nome del medico di famiglia curane. Mi pare che in Veneto l’abbiano sperimentato. Ma – conclude – immagino la cosa possa suscitare un bel vespaio per la medicina del territorio”.