“La Corte si ritira per deliberare”. Sono da poco passate le tredici quando il Presidente della seconda sezione della Corte d’assise d’appello di Palermo Angelo Pellino annuncia all’aula bunker del carcere Pagliarelli che i giudici stanno entrando in Camera di consiglio per decidere se confermare o riformare la sentenza di primo grado del processo sulla trattativa tra Stato e mafia. A distanza di tre anni e mezzo dalla prima sentenza, che condannò quasi tutti gli imputati, accusati di minaccia a corpo politico dello Stato, arriva dunque la decisione dei giudici di appello. Che potrebbe arrivare tra mercoledì e giovedì. La Procura generale di Palermo, al termine della requisitoria, aveva chiesto alla corte d’assise d’appello di confermare le condanne inflitte in primo grado a boss, ex carabinieri e politici imputati di minaccia a Corpo politico dello Stato. In primo grado il boss Leoluca Bagarella fu condannato a 28 anni di carcere, gli ex ufficiali del Ros Mario Mori e Antonio Subranni, l’ex senatore di Fi Marcello Dell’Utri e l’ex medico fedelissimo di Toto’ Riina, Antonino Cinà furono condannati a 12 anni. Otto anni la pena inflitta all’ex capitano del Ros Giuseppe De Donno.
La Corte, in primo grado, aveva dichiarato il “non doversi procedere” nei confronti del collaboratore di giustizia Giovanni Brusca per intervenuta prescrizione visto il riconoscimento delle attenuanti previste per i collaboratori di giustizia. Brusca ha partecipato al processo in collegamento da una località riservata, dopo essere stato scarcerato per fine pena, tra le polemiche, la settimana scorsa, dopo 25 anni di detenzione. Anche Massimo Ciancimino era stato condannato a 8 anni per calunnia e concorso esterno ma poi, nel secondo grado, la sua posizione è stata stralciata perché il reato è andato prescritto.
Oggi i difensori di alcuni degli imputati hanno fatto le repliche alla Procura generale che la volta scorsa aveva ribadito le accuse agli imputati. “La Procura generale ci ha intrattenuto su una analisi direi sociologica, casistica e aneddotica sul messaggio mafioso, ma non ha citato fatti relativi a questo processo o documenti relativi a questo processo, o testimonianze relative a questo processo”, ha detto l’avvocato Francesco Centonze, che difende l’ex senatore Marcello Dell’Utri con l’avvocato Francesco Bertorotta. “Il nostro problema non è come la minaccia mafiosa si eserciti in generale – dice Centonze – il nostro problema è se Marcello Dell’Utri ha minacciato o no Silvio Berlusconi su indicazione delle organizzazioni mafiose, o se Vittorio Mangano ha incontrato Dell’Utri e ha portato a Dell’Utri il messaggio della criminalità organizzata su input di Brusca o Bagarella”. E aggiunge: “Rispetto ai fatti dell’imputazione la procura generale impone il silenzio”.
“La Procura generale si chiude in una sorta di comfort zone, c’è questo mix di suggestioni che abbiamo sentito e nel quale si prevede di ribaltare sentenze definitive”, dice ancora. “In questo cantuccio confortevole si muove il Pg – dice Centonze – si rifugia nella sua zona di conforto, in 25 anni di indagini che a nulla hanno portato”. “Sono quei fatti oggetto dei 25 anni di processo, con rapporti esplorati in ogni modo tanto da approdare a una sentenza della Corte d’appello di Palermo confermata dalla Cassazione nel 2012, quando il fatto venne ritenuto insussistente sul contributo di Marcello Dell’Utri al rafforzamento del sodalizio per mezzo di una intermediazione politica tra Berlusconi e Cosa nostra”, aggiunge Centonze”. E poi dice: “Non avevo mai sentito una pubblica accusa ironizzare e dileggiare la vittima di un reato. La nipote di Mubarak, le barzellette dell’ex presidente del consiglio”.
“Traggo due conclusioni di questo andazzo – dice Centonze -la prima non giuridica: Berlusconi non gode del’apprezzamento della Procura generale di Palermo e lo manifesta in una pubblica udienza, in un processo in cui Berlusconi è vittima. Dileggiando Berlusconi è la stessa Procura generale a disconoscerne il ruolo di vittima, di persona offesa in questo procedimento. Non ci credono neppure loro. Non ci crede che sia vittima, altrimenti non ironizzerebbero e non lo prenderebbero in giro”. E poi conclude: “Abbiamo assistito a una ritirata silenziosa dell’accusa dal contraddittorio, alla rinuncia sostanziale a confutare le nostre argomentazioni. La Procura generale ha deciso di replicare, ma poi in concreto ha ripiegato senza clamore”.
E’ lo stesso Centonze a dire che “Il Governo Berlusconi si è opposto a provvedimenti favorevoli all’organizzazione mafiosa e questo emerge documentalmente dalle carte della Presidenza del Consiglio depositate al processo”. “Per la prima volta emerge una esplicita opposizione del governo Berlusconi a qualunque provvedimento di favore per le organizzazioni mafiose”, dice.
La Corte d’assise d’appello di Palermo si è appena ritirata in Camera di consiglio per emettere la sentenza del processo sulla trattativa tra Stato e mafia. Prima ci sono state le repliche della difesa dell’ex senatore Marcello Dell’Utri, del generale Mario Mori e del colonnello Giuseppe De Donno. “Perché si continua con questo accanimento contro una persona che per tutta la vita ha servito fedelmente questo ingrato paese?”. Con queste parole l’avvocato Basilio Milio, legale del generale Mario MORI, ha concluso le sue repliche nel processo d’appello sulla trattativa tra Stato e mafia, giunto alle battute finali. Oggi i giudici della Corte d’assise d’appello di Palermo si ritirano in Camera di consiglio per emettere la sentenza. “Alla luce dei dati e delle testimonianze, delle prove che ho citato e che dimostrano che la verità dei fatti delle vicende trattate è quella che vi ho rappresentato, comprovandola con elementi oggettivi, delle affermazioni che dimostrano anche l’erroneità del pg – dice l’avvocato Milio commuovendosi- dinnanzi a tutto questo non posso non chiedermi con profonda tristezza nel cuore perché si continui ad accanirsi con una ostinazione senza pari e ignorando le prove di fatti nonostante, io le abbia pure rappresentate queste prove, contro il generale Mori, una persona che per tutta la vita ha servito fedelmente queto ingrato paese”.