Purtroppo è sorprendente, ma in negativo: un ricercatore, presumibilmente italiano dato che si è rivolto immediatamente ad una clinica nostrana, è andato a donare il sangue ed ha contratto il virus dellHiv. Il caso è finito sotto i riflettori a Boston, in merito del Congresso Croi (Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections). Il contagio è stato riportato agli scienziati di tutto il mondo, da due gruppi italiani, quello del San Gerardo di Monza, che ha in cura il ricercatore, e quello del laboratorio di Virologia dell’università di Roma Tor Vergata, uno dei Centri più grandi in Europa per la valutazione, al quale il San Gerardo si è rivolto per analizzare il virus. Si tratterrebbe del primo caso al mondo di virus Hiv prodotto e contratto in laboratorio. Il ricercatore, lavorava nei laboratori di un istituto europeo di altissimo profilo, e maneggiava pezzi di virus defettivo con un profilo di rischio basso, catalogato come Bsl 2 (bio safety lab) sigla che misura il livello di sicurezza adottato. Da qui il caso: il contagio è teoricamente impossibile, poiché le regole per la manipolazione sono ferree, così come le norme di sicurezza nei laboratori. Ma è anche l’unica ragionevole possibilità, e verificarla è facile poiché i virus utilizzati in laboratorio non sono quelli circolanti, ma sono costruiti appositamente. Il virus viene dunque sequenziato e c’è la conferma. Si esclude categoricamente che il ricercatore si sia infettato con un virus circolante tra gli uomini e si conferma che il virus contratto è identico a quello costruito in laboratorio, il NL43 + JRFL. C’è la prova del contagio in laboratorio. E già la notizia fa tremare i laboratori di tutto il mondo. Il punto è come sia potuto accadere. Il direttore del reparto Malattie infettive dell’ospedale San Gerardo di Monza, università di Milano-Bicocca, uno dei camici bianchi che si è occupato del caso, Andrea Gori, ha spiegato la dinamica e le motivazioni. Una storia drammatica che spinge auna riflessione sui livelli di biosicurezza dei laboratoriin cui si lavora con questi costrutti. Si tratta di metodiche che si utilizzano per la ricerca su vaccini per l’Hiv e alla base di tutte le terapie geniche. Una persona ricostruisce il caso Gori – è venuta da noi perché, essendo donatrice di sangue, ha riscontrato così la propria sieropositività. Il problema è che dalla sua anamnesi non risultava alcun fattore di rischio che potesse averlo esposto al contagio. Il sospetto, è nato dal fatto chequesta persona era stata a lavorare all’estero in un laboratorio altamente qualificato nella gestione di costrutti di Hiv. Lerrore? suppone Gori – Si è manipolato materiale genetico particolarmente pericoloso in condizioni di sicurezza non corrette. Ma questo non ci dice come il paziente abbia potuto infettarsi perché non c’è stato nemmeno un incidente. Noi pensiamo che il contagio sia avvenuto a livello respiratorio. Il fatto che fosse legato alla glicoproteina del Vsv può in parte spiegare la maggiore contagiosità di questo costrutto. Contagio che potrebbe peripotesiarrivare per via respiratoria. A bravissimo pubblicheremo un articolo sul caso”. Il direttore del centro di Tor Vergata, Federico Perno, ha confermato le parole dellesperto, sottolineando: “Il ricercatore si è ritrovato a lavorare non con pezzi di virus, ma con il virus intero, che aveva dunque capacità di potersi replicare, e lo ha fatto a dismisura. Anche perché è stato inserito in una proteina – che si chiama G-VSV – che funziona come un cavallo di Troia perché può entrare in tutte le cellule, infettandole con il virus che si porta dentro. È probabile che la proteina abbia amplificato le possibilità di contagio che da solo il virus non avrebbe. Tanto che abbiamo ipotizzato il contagio per aerosol continua lesperto – attraverso le mucose, senza incidenti eclatanti. Quindi due incidenti: un virus intero e non pezzi di virus,e un laboratorio forse inadeguato per livello di sicurezza per quel tipo di intervento. Un incidente gravissimo che porterà arivalutarele procedure così come sono state eseguite finora e a rivedere le regole di sicurezza dei laboratori di tutto il mondo”.
D.T.