Già cerano state le prime avvisaglie dentro il Pd per le novità apportate alla carta del partito in primis il divieto di ricoprire il doppio incarico di segretario e candidato premier – che lAssemblea dei mille delegati avrebbe dovuto votare fra qualche giorno. Ma la riunione del comitato per lo Statuto ha voluto poche ore fa placare gli animi: nessuna votazione in Assemblea, meglio evitare di ricominciare tutto da capo e di cambiare le ordinanze alle soglie di un congresso difficile, dove i dem vogliono risollevarsi da una situazione burrascosa dopo la pesante sconfitta del 4 marzo scorso. “Non litighiamo e non dividiamoci proprio nellultima Assemblea prima del congresso”: è stata la parola dordine e lauspicio del comitato. Anche Andrea Orlando, lex Guardasigilli che nel 2017 proprio della suddivisione della mansione segretario-candidato premier fece uno dei suoi slogan principale alle primarie, non ha voluto mettere altra carne al fuoco: “Prendiamo atto che la maggioranza ha cambiato idea, perché quelle proposte erano state fatte dal presidente della commissione Dal Moro, noi a questo punto non vogliamo andare in Assemblea a produrre un caos, rinviamo tutto al congresso”. “È mancata lintesa”, sostiene il presidente dem, Matteo Orfini. Allordine del giorno dellAssemblea che si terrà il 17 novembre prossimo non ci sarà nessuna votazione sui cambiamenti dello Statuto. Era partito una serie di proteste per arginare eventuali modifiche. Dario Parrini, vicino a Renzi, aveva minacciato che “Se verrà fatta questa proposta, mi opporrò con vigore. È una regola fondativa del Pd e un perno del suo Statuto, della sua identità politica e della sua visione delle istituzioni. Lidea di toglierla di mezzo può far parte della discussione “ne” congresso, non dellordine del giorno di unAssemblea a fine vita convocata per indire il congresso. Nel merito sono contrario alla cancellazione di questa regola perché il suo superamento avrebbe come inevitabile conseguenza labolizione delle primarie aperte per scegliere la guida del partito e aprirebbe la strada a un ritorno al passato di cui proprio non si avverte il bisogno”. Dello stesso parere è Stefano Ceccanti che scrive su Facebook: “Immagino che nessuno pensi davvero di votare in Assemblea una modifica statutaria che cancelli in modo non meditato una norma chiave dello Statuto, la coincidenza tra segretario e candidato premier che, caso mai, può seguire i risultati di un congresso e non precederlo”. Le parole usate per arrivare ad un compromesso utilizzati nella commissione odierna presieduta da Gianni Dal Moro, renziano anche lui, sono state: blocchiamo tutto, indichiamo le vie per un rinnovamento del partito ma saranno poi i contendenti alle primarie a dare i possibili rimedi. Saranno perciò i candidati alla segreteria Nicola Zingaretti, Francesco Boccia, Matteo Richetti questi i candidati ufficiali per adesso – e inoltre Marco Minniti e Maurizio Martina, se si candideranno, far intendere quale è la strada che vogliono percorrere. Quel mucchio di modifiche quindi non saranno più oggetto dell Assemblea: oltre al tema segretario-premier cera anche la diminuzione dei componenti dello stesso “parlamentino” (da mille a 500 o 700) e della Direzione (da cento a una sessantina) e labolizione delle primarie per i segretari regionali. Dal Moro stilerà una relazione in Assemblea il 17 offrendo queste proposte per il dibattito congressuale, in modo tale che ogni papabile possa farli suoi oppure no. Ununica modifica sarà indispensabile, ed è più che altro un adeguamento per consentire al segretario dimissionario Marina di firmare le liste per le amministrative.