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    Pnrr, Csel: progetti per servizio idrico valgono 5,8 mld ma Piano copre solo 60% costi

    (Adnkronos) – “Il combinato disposto degli effetti del cambiamento climatico e della precarietà che caratterizza le reti idriche italiane ha portato al progressivo aumento della superficie del territorio italiano soggetta al rischio di essere colpita da siccità grave. Eccezion fatta per alcune eccellenze – come Romagna Acque, che nel 2022 è stata premiata da Arera per i risultati conseguiti in tema di riduzione delle perdite della rete idrica (ferme all’1,5%) – la media nazionale delle perdite di acqua, che si attesta intorno al 36% del totale, rappresenta una grave stortura che necessita di essere affrontata con decisione. Le soluzioni, specialmente quelle più radicali ed efficaci, hanno costi tutt’altro che banali. Stando all’esperienza di un altro operatore pubblico del settore, Brianza Acque, l’ordine di grandezza è di circa 20 milioni di euro di costi per la sostituzione di 35 chilometri di reti”. Ad affermarlo è il Centro Studi Enti Locali (Csel), in un’analisi per Adnkronos. 

    Per rispondere a questa e ad altre criticità legate alla qualità del servizio idrico italiano, il Piano nazionale di ripresa e resilienza – spiega Csel – ha stanziato risorse ingenti. I contributi destinati a finanziare i progetti beneficiari delle risorse stanziate dal Pnrr nell’ambito delle linee di intervento che riguardano questo settore, e che sono già state ripartite, ammontano complessivamente a poco meno di 3,7 miliardi di euro. Questi fondi ricadranno in massima parte nelle regioni del Mezzogiorno (47%), per il 31% in quelle del Nord e per il 22% in quelle del Centro Italia.  

    I costi complessivi previsti per l’attuazione dei progetti che hanno superato il vaglio dei ministeri competenti – avverte Csel – sono, però, di gran lunga superiori a quelli che saranno coperti dalle risorse di matrice comunitaria. Per poter completare questo ambizioso parco progetti occorreranno, infatti, oltre 5,8 miliardi. Le risorse di natura diversa (ad esempio, altre fonti di finanziamento pubblico o risorse finanziarie dei soggetti attuatori) dovranno, quindi, coprire quella forbice che, ad oggi, secondo le stime di Csel, basate su dati della presidenza del Consiglio dei ministri e del Mef-RgS (aggiornati alla data dell’8 ottobre 2023), vale circa 2,1 miliardi di euro.  

    Ed ecco come sono state ripartite le risorse afferenti a tre dei quattro capitoli principali relativi al servizio idrico integrato: M2C4, Inv. 4.1 (infrastrutture idriche primarie per la sicurezza dell’approvvigionamento); M2C4, Inv. 4.2 (riduzione delle perdite nelle reti di distribuzione dell’acqua, compresa la digitalizzazione e il monitoraggio delle reti) e M2C1, Inv. 1.1-Linea C (ammodernamento e realizzazione di nuovi impianti innovativi di trattamento/riciclaggio per lo smaltimento di materiali assorbenti ad uso personale, i fanghi delle acque reflue, i rifiuti di pelletteria e i rifiuti tessili).  

    L’elaborazione di Csel non tiene conto di un’altra misura chiave, quella dedicata agli investimenti nelle fognature e nella depurazione (M2C4, Inv. 4.4), perché una serie di provvedimenti ne hanno via via posticipato l’avvio ed è attualmente previsto che l’attuazione di questi investimenti, che complessivamente valgono 600 milioni di euro, sarà concentrata nell’ultimo triennio del Pnrr, tra il 2024 e il 2026.  

    La ricerca di Csel, presentata il 12 ottobre a Bologna in occasione del Forum Accadueo, ha fatto emergere grandi differenze nelle percentuali di cofinanziamento necessario per realizzare i progetti Pnrr in ambito idrico. Queste sembrano essere fortemente differenziate in base alla regione di appartenenza degli enti o della società che sono soggetti attuatori degli interventi in questione. In Basilicata e in Valle d’Aosta, ad oggi, il volume degli investimenti in questo ambito risulta essere stato coperto in toto con le risorse del Next generation Eu. 

    Di contro, in realtà come il Lazio e la Campania, l’ammontare dei cofinanziamenti esterni ha superato la quota parte imputabile al Pnrr. Nel caso del Lazio, le risorse extra sono pari quasi al 65% del totale. In Campania sono di poco inferiore al 60%. In mezzo, in ordine alfabetico: l’Abruzzo (12%), la Calabria (3%), l’Emilia Romagna (24%), il Friuli Venezia Giulia (15%), la Liguria (13%), la Lombardia (27%), le Marche (45%), il Molise (8%), il Piemonte (35%), la Puglia (54%), la Sardegna (8%), la Sicilia (23%), la Toscana (41%), il Trentino Alto Adige (13%), l’Umbria (39%) e il Veneto (9%). 

    “Quando si parla di cofinanziamento – chiarisce Csel – si fa riferimento anche al Fondo per l’avvio delle opere indifferibili, istituito proprio per far sì che i rincari in ambito energetico e relativi ai materiali da costruzione non paralizzassero le opere più strategiche per il Paese, prime fra tutte proprio quelle previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza”. 

    La linea di investimento, tra le tre oggetto di studio, che ha richiesto i contributi extra Pnrr più corposi, è quella relativa alle infrastrutture idriche primarie per la sicurezza dell’approvvigionamento. A livello nazionale, occorreranno oltre 1,6 miliardi extra su un totale di 3,6 miliardi. Circa il 46% dei denari arriverà, quindi, da altri canali di finanziamenti alternativi. Al di sotto di questa media, le regioni del Nord Italia, in cui la quota rimasta fuori dal cappello del Next generation Eu si è fermata al 33% e in linea il Mezzogiorno, in cui sono rimasti fuori circa 778 milioni su 1,7 miliardi (45%). In controtendenza le regioni del Centro Italia, dove invece è rimasto fuori ben il 65% dei costi totali, che saranno, quindi, coperti da risorse proprie dei soggetti attuatori o altri finanziamenti.  

    Ma perché i fondi Pnrr coprono mediamente poco più del 60% degli investimenti che impattano in ambito servizio idrico integrato? “Le ragioni possono essere molteplici – spiega Csel – ma tra le più frequenti ci sono: il raggiungimento del tetto dell’importo massimo finanziabile attraverso le linee di investimento, l’impennata dei costi innescata dal caro energia e dall’aumento dei prezzi dei materiali e il fatto che molti di questi investimenti erano già stati pensati e progettati prima dell’esordio del Next generation Eu e vi siano stati fatti rientrare successivamente per recuperare una parte degli investimenti previsti”.  

    “Questo meccanismo – prosegue – è stato ampiamente adottato, anche per altre linee di investimento, soprattutto nei casi in cui i soggetti destinatari degli interventi erano le amministrazioni territoriali. Puntare sui progetti che erano già nel ‘cassetto’ delle pubbliche amministrazioni aveva, infatti, il grande vantaggio di far contrarre i tempi. Un elemento, quello della tempestività, che, come noto, è particolarmente cruciale quando si parla di Pnrr, dato che il cronoprogramma dettato da Bruxelles è serrato e molto distante dai ritmi a cui normalmente vengono pensati e messi in atto i lavori pubblici italiani”.  

    Ma in che modo questo incardinamento ex post nei binari del fondo Next generation Eu ha inciso sulla percentuale dei costi extra da finanziare con risorse alternative? “Questa caratteristica può diventare rilevante – sottolinea Csel – nella misura in cui, nel caso dei progetti nati ante-Pnrr, non di rado, ci sono stati dei ‘passaggi’, legati alla fase iniziale della progettazione, che hanno determinato una percentuale di costi non rendicontabili in chiave europea, perché non erano stati rispettati tutti gli stringenti criteri che sono stati successivamente introdotti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza”.