Pil, una nuova recessione è un rischio reale?

(Adnkronos) – Il dato Istat di oggi sul Pil, con la correzione al ribasso della stima preliminare che indica una contrazione dello 0,4% nel secondo trimestre, riaccende il dibattito sulla crescita economica in Italia, con una domanda di fondo: una nuova recessione è un rischio reale? La risposta incide molto anche sui margini di manovra che avrà il governo per la sua politica economica, a partire dalla prossima Legge di Bilancio.  

Se la crescita si stabilizzasse in territorio negativo, la prima conseguenza sarebbe una nuova tensione sui conti pubblici, con due implicazioni immediate e collegate tra loro: ci sarebbero meno risorse a disposizione e il livello del debito in rapporto al pil potrebbe tornare a rappresentare un fattore di rischio nella percezione dei mercati finanziari. 

Il dato dell’Istat può essere letto come un segnale di allarme o, al contrario, come un assestamento che non compromette le previsioni fatte finora, tra gli altri da Fmi e Bankitalia. I rischi ci sono, e derivano anche dalla situazione internazionale, i prossimi mesi diranno quanto l’economia italiana sarà in grado di assorbirli. 

 

Il Fondo Monetario Internazionale, a fine luglio, ha confermato il recupero dell’economia italiana. Nell’aggiornamento del World Economic Outlook, ha rivisto infatti al rialzo la stima del Pil per il biennio 2023-24 con una crescita che quest’anno dovrebbe toccare l’1,1% (+0,4 punti sulle previsioni di aprile) per attestarsi allo 0,9% nel 2024 (+0,1 punti). Dati migliori di Germania, Francia e della media dell’area euro, soprattutto grazie all’impatto del turismo. 

 

Nell’ultimo Bollettino economico, secondo gli economisti di Via Nazionale, la crescita del prodotto si colloca all’1,3 per cento quest’anno, allo 0,9 nel 2024 e all’1,0 nel 2025. Guardando avanti, avvertiva a luglio Bankitalia, il quadro macroeconomico continua a essere caratterizzato da forte incertezza e i rischi per la crescita sono orientati al ribasso e legati in particolare all’evoluzione del conflitto in Ucraina e alla possibilità di un irrigidimento delle condizioni di finanziamento maggiore di quanto atteso. 

 

Mostra ottimismo il presidente di Intesa Sp, Gian Maria Gros-Pietro. “Non dobbiamo preoccuparci, perché questa frenata viene da lontano, dalla Cina, che a sua volta ha creato una difficolta per la Germania che è molto esposta, l’Italia lo è molto meno”, dice l’economista a caldo commentando da Cernobbio. Rispetto alla Germania, “l’Italia ha dei mercati più distribuiti geograficamente come settori, ma naturalmente siamo dei grandi fornitori della Germania”, osserva, aggiungendo: “Io mi aspetto per l’anno prossimo una crescita del Pil dell’1%, un po’ più veloce nella seconda parte dell’anno e un po’ più lenta nella prima metà”. 

 

L’analisi di Confesercenti è invece più cauta. “L’economia italiana rallenta più del previsto. La conferma, come purtroppo ci aspettavamo, arriva dai dati Istat che evidenziano come il rialzo delle previsioni di crescita per il 2023, apportate dalle organizzazioni internazionali negli scorsi mesi, sia stato troppo frettoloso. La stima più plausibile per l’intero anno in corso ci sembra 0,7%, visto che il secondo semestre non è cominciato sotto i migliori auspici. Per il terzo e quarto trimestre valutiamo, infatti, in media una crescita nulla”. In particolare, “le stime dell’istituto di statistica sono in linea con quanto riscontrato con il clima di fiducia delle imprese: la componente del Pil legata ai consumi continua a registrare risultati negativi”.  

 

“Calo allarmante”, quello del Pil nel secondo trimestre, secondo Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori: “Il rischio di una recessione tecnica è alle porte. Se ci salveremo e non varcheremo quel tunnel sarà solo perché nel terzo trimestre le vacanze degli italiani faranno da volano alla ripresa dei servizi”. Il dato “più preoccupante” è la variazione nulla della spesa delle famiglie residenti, “un indicatore evidente della difficoltà delle famiglie di arrivare a fine mese e un segno premonitore del pericolo di finire in una fase di stagflazione”. (Di Fabio Insenga)