Pil e industria, l’economia si sta fermando: cosa dicono Ue e Istat

(Adnkronos) – Le previsioni Ue e i dati dell’Istat si incrociano in una giornata che mette insieme un nuovo trend di contrazione del Pil, il calo della produzione industriale e quello della fiducia delle imprese. Tre indicatori che, letti insieme, lasciano pochi dubbi: l’economia italiana si sta fermando, insieme a quella europea. Guardando a quello che è successo nel secondo trimestre dell’anno, e pensando ai prossimi mesi, l’attenzione è rivolta soprattutto l’attuazione del Pnrr, che può contribuire a invertire la rotta sul piano della crescita, e alle decisioni della Bce, che con la politica monetaria deve tenere in equilibrio la lotta all’inflazione troppo alta con l’esigenza di non compromettere ulteriormente lo sviluppo.  

 

La Commissioni Ue ha tagliato le sue previsioni, sia per l’economia europea sia per quella italiana. In particolare, ha rivisto verso il basso la crescita attesa per l’economia italiana nel 2023 e nel 2024, riportando i valori verso i livelli previsti nello scorso inverno. Quest’anno il Pil dovrebbe salire dello 0,9% rispetto al 2022, contro il +1,2% atteso in primavera, comunque leggermente al di sopra del +0,8% delle previsioni d’inverno e superiore alla media stimata per la zona euro (+0,8%). Per il 2024 la crescita italiana è allo stato stimata a +0,8%, contro il +1,1% di primavera. Nella sostanza, le aspettative della scorsa primavera sono state disattese, l’economia si è fermata e si torna indietro allo scenario precedente.  

 

La Commissione Ue spiega anche quali sono i fattori che concorrono all’andamento della crescita. Da una parte, “la rimozione graduale degli incentivi straordinari e temporanei per le migliorie edilizie decise durante la pandemia, che hanno spinto l’attività edilizia in modo cospicuo negli ultimi due anni, ha contribuito a questi sviluppi”. Si parla, ovviamente, del Superbonus. Dall’altra parte, osservano i tecnici di Bruxelles, indicatori come la produzione industriale, che hanno smesso di calare dopo mesi, “suggeriscono una ripresa marginale nella seconda metà dell’anno”. Il dato Istat, però, contraddice questo scenario, perché ”dopo due mesi di crescita congiunturale l’indice destagionalizzato della produzione industriale registra, a luglio, una diminuzione”. A luglio 2023 si stima che l’indice destagionalizzato della produzione industriale diminuisca dello 0,7% rispetto a giugno. Al netto degli effetti di calendario, a luglio 2023 l’indice complessivo diminuisce in termini tendenziali del 2,1% (i giorni lavorativi di calendario sono stati 21, come a luglio 2022). Dati che fanno evidenziare al ministro per le Imprese ed il Made in Italy Adolfo Urso “un segnale d’allarme”. Le ragioni che individua il titolare del ministero di Via Veneto sono tutte di natura esterna: l’aumento dei prezzi dell’energia deciso da Opec e Russia, la recessione tedesca e il rialzo dei tassi della Bce che ha reso più difficile investire per imprese e famiglie.  

 

Commentando le nuove previsioni della Ue, il commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni guarda anche avanti. “L’efficace attuazione dei piani nazionali di ripresa e resilienza rimane una priorità fondamentale. Dovrebbero essere perseguite politiche fiscali prudenti e favorevoli agli investimenti, in sintonia con gli sforzi continui delle nostre banche centrali per domare l’inflazione. Infine, dobbiamo lavorare con determinazione per concludere entro la fine dell’anno un accordo sulla riforma delle nostre regole di bilancio”. Questo, dice, perché nell’Ue “l’attività economica è andata in stallo nel secondo trimestre e gli indicatori segnalano un ulteriore indebolimento nei prossimi mesi”. L’indebolimento ulteriore si percepisce anche in un altro dato Istat, quello sulla fiducia. Ad agosto, la fiducia delle imprese ha registrato nel dettaglio una flessione marcata e diffusa a tutti i settori. Dopo il calo di luglio, anche ad agosto è diminuito l’indice di fiducia dei consumatori, pur mantenendosi sopra il livello medio del periodo gennaio-luglio, principalmente a causa di un peggioramento delle opinioni sulla situazione economica generale. (di Fabio Insenga)