“Non ho mai creduto che trasformazione sia imitazione, nonostante mi ci abbiano spinto Orazio Costa e Luca Ronconi. Un bambino per conoscere il mondo lo diventa, si fonde con l’esperienza, niente svela di più l’attore che non la maschera neutra, perché sei a contato con la tua neutralità. Il set per la generazione di Marco è quello in cui tutto può avvenire, per la mia è quello della realizzazione, e qualcosa si perde. Marco amplia anche agli altri meriti che sono suoi, è uno dei registi più in ascolto che abbia mai incontrato, ha sempre attenzione per ciò che un attore può portare, una grande rarità sopra tutto per un maestro come lui”.
Ospite del prestigioso Film Fest di Taormina, giunto all’edizione numero 65, Pierfrancesco Favino è inevitabilmente ancora ‘inglobato’ da ‘Il Traditore‘ di Marco Bellocchio (del quale tesse le lodi), che è valso ben sette Nastri D’Argento alla recentissima premiazione.
Protagonista della masterclass che lo vede al centro del palco del Centro Congressi, qui Favino era già stato da ‘novizio’ nel 1991: “in questo luogo con la classe dell’accademia, con Gifuni, Lo Cascio, venimmo al Festival portando un lavoro di Costa sull’Amleto, il nostro saggio di diploma: essere qui è una grande emozione”.
E Pierfrancesco ha molto da spendere a favore di Bellocchio: “Marco amplia anche agli altri meriti che sono suoi, è uno dei registi più in ascolto che abbia mai incontrato, ha sempre attenzione per ciò che un attore può portare, una grande rarità sopra tutto per un maestro come lui. Marco – confessa poi l’attore – mi tagliò ne Il principe di Homburg: ero molto cane, e fece bene. Ma il desiderio di rivalsa mi ha fatto dire, ‘adesso prendi me’”.
Inevitabile poi il suo pensiero sul pentito Tommaso Buscetta: “criminale ed eroe? Direi criminale e basta. Eroe – tiene a precisare pensando proprio a Falcone – è chi ha scelto di non scappare e ha pagato con la vita. Ho sempre pensato che le lacrime per dei figli morti possiamo condividerle”. Controverso, in parte ‘costruito, ‘Tomassino’ finì poi per rinnegare “qualcosa a cui non voleva assomigliare, se stesso: figlio di vetrai, mafioso per scelta, continuò a cambiare faccia. Buscetta – aggiunge ancora – emanava carisma: era nato leader naturale e ha scelto di non esserlo, non c’è pubblico ministero che non me lo abbia detto, del suo fascino, per tacere delle mogli”, spiega ancora Favino parlando “di un concetto di identità che non mi ha mai interessato particolarmente, perché Masino non parlava in quel modo, voleva parlare in quel modo. Lui nasceva palermitano di Porta, ma le storie sono come ci rapportiamo agli altri”.
Ma c’è molto altro in pentola, come ‘I migliori anni’ di Gabriele Muccino, ‘Nel sole’, di Claudio Noce e, presto nei cinema, l’atteso ‘Hammamet‘ di Gianni Amelio, dove l’attore è si dovuto misurare con un difficilissimo Bettino Craxi: “Ero terrorizzato, e continuo a pensare: ‘ma come faccio io? Poi trovi una strada, sbagli, tenti, a me piace tanto provare, il momento dell’errore è il momento della creazione”. Riguardo lo specifico della pellicola, Favino preferisce però elegantemente lasciare al suo ‘creatore’ l’onore di parlarne: “E’ bene sia Gianni a parlarne per primo. Io posso solo dire della trasformazione per incarnarlo, penso di essere l’attore adatto, perché riesco a trovare una verità intima e profonda nell’oggettivare me stesso”. Perché, spiega ancora, fare l’attore non significa saper far tutto ciò che viene richiesto: “Ci sono film per cui non sono giusto, lo so, non posso fare tutto, forse perché sono attore che interpreta, e a non tutti piace l’interprete”. Anche se oggi, rispetto a molti anni fa il ‘transfert’ è molto diverso: “Rispetto agli inizi, non c’è più lo sforzo di assomigliare a ciò che faccio, sono io, oggi”
Forse potrebbe essere giunto il momento di provare a passare dall’altra parte della macchina da presa, gli domandano: “Sì, ci penso, ma poi quando incontri questi qui – dice indicando proprio Bellocchio, seduto tra le poltrone del Centro Congressi – pensi che è meglio di no. Comunque, mi piace collezionare macchine da presa, piccoli carrelli, e amo la luce: se non fossi attore, direttore fotografia mi sarebbe piaciuto”.
Riguardo a tutti quei giovani che sognano di fare il suo stesso lavoro, Pierfrancesco tiene a precisare che “il talento non nasce per forza nelle case dei ricchi, e non tutti hanno 20mila sterline per andare a Londra a studiare cinema”.
Ma Favino, che in casa si professa tutt’altra persona rispetto al palco (“Se sono così a casa? Ma no, sai che palle… Siamo ciò che è la relazione con quella persona, perché dobbiamo sopravvivere”), è convinto che “i ragazzi sono molto più attivi di quanto vogliamo immaginare o ci piaccia pensare”, e cita ad esempio il caso delle sue figlie le quali, “cresciute in classi multirazziali non hanno assolutamente il problema di cui si parla sui giornali”.
Max