Condanne da 3 anni e 4 mesi fino a 12 anni per i carabinieri infedeli di Piacenza, uomini che il procuratore capo di Piacenza, Grazia Pradella non aveva esitato a definire “traditori dello Stato”. Nel processo con rito abbreviato, davanti al gup Fiammetta Modica, le condanne inflitte ai cinque imputati soddisfano l’accusa.
Per Giuseppe Montella, ritenuto il capo del gruppo, la pena più alta: 12 anni, l’accusa aveva chiesto 16 anni, un mese e 10 giorni. Ha ammesso le sue responsabilità – ammettendo di aver preso parte a gran parte dei circa 60 episodi contenuti nel capo di imputazione (per fatti avvenuti dall’ottobre 2018 al giugno 2020) -, ma ha sempre sostenuto di non aver agito da solo. Pene più basse per gli altri.
Condannati – sempre a pene inferiori alle richieste dell’accusa – l’appuntato scelto Salvatore Cappellano a 8 anni (la richiesta era di 14 anni, 5 mesi e 10 giorni), 6 anni per il collega Giacomo Falanga (13 anni la richiesta di pena), 4 anni per Marco Orlando (5 anni la richiesta) all’epoca comandante della stazione di via Caccialupo. Per Daniele Spagnolo la pena più bassa a 3 anni e 4 mesi (richiesta della procura 7 anni e 8 mesi).
Stanca ma soddisfatta il procuratore capo di Piacenza Grazia Pradella. “L’impianto accusatorio ha retto in pieno”, ha detto contattata dall’Adnkronos.
A meno di un anno dalle manette e dal sequestro della caserma Levante – prima volta in Italia – arriva il verdetto nei confronti di chi con comportamenti di “eccezionale gravità ha offeso i carabinieri che lavorano in silenzio e con spirito servizio”, le parole usate dal procuratore capo nella requisitoria dello scorso aprile. Nell’aula di Piacenza Expo, trasformata in tribunale per rispettare le norme anti Covid, davanti al gup Fiammetta Modica, era stato il pm Antonio Colonna a ricostruire “il sistema Levante” e a spiegare le responsabilità di tutti gli imputati “accecati dall’arroganza di chi si crede al di sopra delle regole”, capaci di tenere in piedi un sistema parallelo fatto di menzogne, di sequestri di droga rivenduta attraverso pusher di fiducia, di arresti ‘architettati’ per aumentare le statistiche, di pestaggi con modalità tali da configurare la tortura. Traspare il disprezzo nell’elencare i presunti illeciti commessi dai cinque carabinieri che hanno scelto l’abbreviato – consente lo sconto di un terzo della pena – per difendersi da una sfilza di reati che spaziano dallo spaccio di droga al peculato, dal falso alle lesioni e alla tortura.
“C’è gente che indossa la divisa con onore e per questo leggere questi fatti é motivo di umiliazione e vergogna. Dedico il mio intervento a queste donne e a questi uomini valorosi”, uno dei passaggi dell’intervento davanti alle parti civili, tra cui alcune associazioni di carabinieri. Le motivazioni saranno rese note tra 90 giorni.