(Adnkronos) – “Hanno pensato di usarci come figurine”, Paolo Romano, 26 anni, candidato Pd non eletto in Lombardia. “Si deve dimettere non solo l’Ad ma tutto il Cda. Altro che occhi di tigre, occhi di triglia…”, Tommaso Bori, segretario Pd Umbria. “Non voglio più avere imbarazzo, voglio raccontare quanto sia figo il Pd”, Silvia De Dea, responsabile comunicazione Pd Milano. Il mood è stato questo. Per un intero pomeriggio fino a sera. Decine e decine di interventi e oltre 600 partecipanti, tutti under 35, quasi tutti amministratori locali. Si sono ritrovati all’assemblea a Roma di ‘Coraggio Pd’, organizzata da Brando Benifei. In platea Marco Meloni, coordinatore della segreteria Letta.
Quasi una contro-assemblea rispetto alla Direzione dem di ieri. Nei toni, nelle richieste e, ovviamente, anche nell’età. “L’immagine che abbiamo qui oggi è molto differente da quella della Direzione nazionale di ieri: capelli bianchi e quasi tutti uomini. E anche nel metodo: noi qui ascoltiamo”, dice Caterina Cerroni, segretaria del giovani Pd, e anche lei candidata non eletta alle politiche. In vista del congresso cosa propongono i ‘nativi Pd’, come si autodefiniscono? Facendo una sintesi estrema dei tantissimi interventi: il recupero di credibilità. Che passa da un congresso vero, da un cambio di prospettiva ovvero ‘fuori dal Palazzo’, da un’identità radicale (il lavoro, il tema dominante) e da un ricambio netto della classe dirigente.
Una ‘prima fila’ “screditata”, dice Benifei. “Non dico che è giusto, ma è un dato di fatto”. E il perché lo declinano tanti interventi. Come parlare di immigrazione quando hai fatto i Memorandum con la Libia? O di giustizia sociale e lavoro quando hai fatto il JobS Act? Dice Cerroni: “Il gruppo parlamentare eletto è per la maggior parte fatto dagli stessi che hanno votato il Rosatellum e il Jobs Act”. Cambiare per tornare credibili, è lo j’accuse dei neo rottamatori Pd. Una mancanza di fiducia toccata con mano in campagna elettorale. “All’alba davanti alle fabbriche non ci si filava nessuno”, dice Katia Piccardo, sindaca di Rossiglione in Liguria.
“Non deve solo andarsene l’amministratore delegato, ma tutto il Cda perché se uno si insedia promettendo giovani e donne e porta in Parlamento molti anziani e poche donne, e invece degli occhi di tigre ci ritroviamo gli occhi di triglia, non funziona”, attacca il segretario Pd umbro Bori. “E si può dire che è stato vergognoso non saper rispondere a Meloni in due giorni di dibattito in Parlamento e che come fa l’opposizione Serracchiani ci stringe il cuore?”.
Lo scambio della capogruppo con Meloni in aula viene ricordato anche da Davide Montanaro: “Cadere nel ridicolo è un problema serio, rincorrere Meloni sul ruolo della donna è stato un autogol pazzesco”. Perché, dice il consigliere regionale lombardo Jacopo Scandella, non basta l’opposizione per ‘rigenerarsi’: “Come può guidare l’opposizione a Meloni chi è stato al governo negli ultimi 10 anni e qualsiasi cosa dici, ti ribattono: ‘Perché non lo hai fatto quando eri al governo?’. Dicono che l’opposizione ci rigenererà, ma l’opposizione non è mica una lavanderia a gettoni…”. E allora, incalza, “il ricambio non si chiede, si fa. Lo spazio non si trova, si prende. E si deve avere coraggio di rischiare mentre un pezzo del nostro gruppo dirigente ha una cotta per la lista bloccata”.
Aggiunge Bori: “Quando un vecchio del partito mi mette la mano sulla spalla e mi dice ‘a me non hanno regalato niente, me lo sono dovuto conquistare’, ecco seguiamo quel consiglio: prendiamoci questo partito”. E Michele Albiani, responsabile diritti Lgbtq+ del Pd Milano, accusa di ‘ipocrisia’ i dirigenti dem su certi temi, Alessandro Zan a parte. “Non ci credo che sia stata solo Italia Viva ad affossare il ddl Zan”.
Mentre Lorenzo Pacini, sempre dei dem Milano, propone tra gli applausi: “Merito e territorio, servono le primarie per i candidati in Parlamento. Basta col partito dei leccaculo, dei burocrati”. E Massimo Iovane, 22 anni, Pd Venezia: “Io non lascio il presidio della sinistra a chi ha fatto i dl Sicurezza, al trasformista Conte. E’ degradante”. Giovanni Zannola, Pd romano: “Posso essere incazzato se invece di combattere la destra devo combattere con l’uffico di collocamento della corrente organizzata che nasceva qui a fianco?”.
“Bisogna dire le cose come stanno -dice Benifei, capodelegazione Pd in Europa e organizzatore- noi abbiamo una classe dirigente che si ripropone incessantemente e che dopo 10 anni di governo pretende ancora di dettare l’agenda della discussione. Noi abbiamo bisogno del cambiamento della prima fila del nostro partito, non solo del segretario, altrimenti è una farsa questa costituente, questa apertura”.
“Noi abbiamo visto anni di cedimenti preoccupanti. Ne cito due. Penso agli errori compiuti rispetto al Jobs act” e al “cedimento grillino” sul taglio dei parlamentari, “scelte di gigantesca responsabilità di una classe dirigente che ci ha portato dove siamo oggi. Un’identità chiara e un rinnovamento radicale del gruppo dirigente che non ha più credibilità. Non è che questo sia giusto, ma è un fatto. C’è una classe dirigente screditata. E non abbiamo bisogno di convegni ma di un processo politico altrimenti meglio andare alle primarie e vedremo se sostenere un candidato o mettere in campo uno nostro”.