(Adnkronos) – Nella lunghissima direzione Pd, un ‘flusso di coscienza’ fiume di ben 10 ore, c’è un punto fermo. Il sostanziale accordo tra tutte le componenti dem sui tempi del congresso: il nuovo segretario ci sarà entro marzo. Il timing lo dà Enrico Letta aprendo i lavori. I tempi giusti” perché sia pronto “un nuovo gruppo dirigente, è l’inizio della primavera, il mese di marzo”, dice Letta. “Condivido la relazione del segretario, col quale ci siamo confrontati nei giorni scorsi”, fa sapere Stefano Bonaccini. C’è l’ok di Base Riformista e non arrivano critiche anche dal resto dei dem. Tranne Luigi Zanda. “Il tempo previsto non è sufficiente per una discussione seria”, osserva.
Altro punto fermo, raccolto dalla quasi totalità degli interventi, è che il Pd non va sciolto. Rifondato sì, ma nessuno scioglimento. Letta aggiunge che, per lui, anche il simbolo non va toccato. E quindi il nome. E poi le alleanze. Se ne parla per dire che se ne riparlerà. Vengono dopo. Prima c’è l’identità del Pd perduta, dissolta nel ‘governismo’ degli ultimi anni. Anche il teorico numero uno dell’abbraccio con i 5 Stelle, ovvero Goffredo Bettini mette in chiaro che non pensa né “allo scioglimento, né a una cosa rossa o rossogialla”.
Quindi congresso che si chiuda entro marzo. Sarà una nuova riunione della Direzione ad entrare nel concreto dei passaggi ma lo schema resta quello individuato da Letta delle 4 fasi con le primarie a due per il segretario a chiudere il tutto. Sebbene il punto delle primarie sia stato affrontato in diversi interventi. Chiedono un ripensamento Peppe Provenzano e Cesare Damiano, tra gli altri.
Fin qui tempi, regole e punti che ricorrono nella maggior parte degli interventi. Poi c’è tutto il resto. I ‘nodi’, per così dire. Andrea Orlando ne individua uno “sostanziale” che non è sciolto e che resta divisivo. E’ giusto dire che il Pd non deve sciogliersi, dice il ministro del Lavoro, ma il rischio è che sparisca lo stesso se non viene “sciolto un nodo”, e cioè se non si chiarisce “da che parte stiamo nel conflitto sociale”.
Argomenta Orlando: “Abbiamo oggettivamente una tenaglia. La sfida chiara di un partito caratterizzato come il partito delle elite più illuminate, dei ceti urbani. E quella di un partito che incarna in una visione social populista dei pezzi di società. Allora, se dici che vuoi modificare il reddito di cittadinanza quelli che ce l’hanno, non ti votano perché pensano che glielo vuoi togliere e quelli che non lo vogliono, non ti votano perché pensano che lo vuoi tenere”.
Nel Pd c’è “un’impostazione di carattere neoliberista che persiste” e poi c’è “chi ritiene sia necessario esercitare una critica al modello di sviluppo. Non dico che sia giusta una strada o l’altra, dico che se non si scioglie questo nodo inevitabilmente siamo reticenti sull’agenda sociale ed economica”.
Reticenze che per Matteo Orfini sono legate alla “rinuncia alla costruzione di un progetto politico identitario. Da quando è nato il Conte-bis la nostra proposta è stata il campo largo, cioè una alleanza. Abbiamo trasformato lo strumento in fine. Abbiamo cercato la soluzione della nostra debolezza negli altri: affidarsi prima a Conte, poi a Draghi. Non c’è la fiducia di riuscirci noi”. Scelte che “hanno trasformato il Pd nel partito della tutela dello status quo”.
Bonaccini non è intervenuto in Direzione, come aveva annunciato ieri. I suoi spiegano che è dovuto rientrare in Emilia Romagna. Ma fa sapere come la pensa. “Condivido il percorso proposto da Enrico Letta, col quale ci siamo confrontati nei giorni scorsi: un congresso vero in cui riaffermare e rigenerare l’identità del Pd. Lo faremo in tempi certi e ragionevoli, perché il Paese ha bisogno di un Governo ma anche di un’opposizione pienamente in campo. Partiamo oggi per discutere del progetto del Pd e dell’Italia. Non di alleanze di là da venire”.
“Analizzare le ragioni della sconfitta -prosegue- è essenziale, ma con lo sguardo rivolto al presente e al futuro, perché è su questo che saremo misurati. Un congresso per discutere con le persone nella società, non nel chiuso di una stanza, perché la democrazia si nutre di partecipazione. E già il fatto che non si discuta più di nome e simbolo lo considero un passo avanti: i problemi che dobbiamo affrontare adesso sono di sostanza, non di forma”.