(Adnkronos) – “Difficile discutere del Pd ‘sine ira ac studio’, come dicevano i latini. E cioè senza pregiudizio e senza che le passioni di parte offuschino la lucidità politica che pure sarebbe dovuta al caso. Difficile anche perché in quel partito si raduna tanta della nostra storia politica di questi anni. Cosicché esso finisce per condensare in sé la gran parte dei caratteri che formano l’intero alfabeto del lessico repubblicano. Con l’esito di indurre quasi sempre giudizi estremi e analisi di parte.
Eppure quella discussione sarebbe necessaria, sia ai suoi tifosi che ai suoi denigratori. Poiché quel partito, nel bene e nel male, non è uno dei tanti. Ma pretende di essere un riassunto di quasi tutta la nostra storia repubblicana. O almeno, della sua parte più significativa. E’ il ‘partito dei partiti’, se così si può dire. Quello che intendeva aggiornare e insieme archiviare la nostra prima repubblica, portando a fusione le sue culture storiche e squadernando davanti ad esse una prospettiva di cambiamento che ha finito per diventare, paradossalmente, il labirinto nel quale a questo punto si sta perdendo. C’è insomma all’origine del Pd una sorta di volontaria doppiezza tra il suo antico e nobile lignaggio e l’altrettanto nobile pretesa di rappresentare una bandiera di novità e di cambiamento. Due cose che, come s’è visto tante altre volte, stanno insieme con una certa fatica.
Questa doppiezza -voluta e cercata- fa dell’attuale Pd un ircocervo, un animale mitologico. Infatti da un lato esso viene percepito come il luogo canonico della classe dirigente, il partito che ha espresso gli ultimi due capi dello Stato, quello che assomma in sé, o almeno pretende di farlo, la gran parte delle nostre tradizioni più blasonate. E dall’altro però, quasi a compensare questa aulica solennità che lo ha contraddistinto il più delle volte, esso vorrebbe proporsi al contrario come una forza dinamica, innovativa, senza radici che richiamino troppo il passato. Combinazione assai difficoltosa. E resa ancor più difficoltosa dalla marea populista che ha sotterrato tanta parte di quelle storie e tradizioni (marea verso cui l’attuale Pd si ostina ad essere troppo compiacente).
La segreteria di Elly Schlein -sia detto senza voler troppo infierire- rende ogni giorno più acuta quella difficoltà e più stridente quella contraddizione. Infatti la nuova segretaria gioca la sua fortuna sul ruolo di outsider che si è scelta (e per cui è stata scelta). Peccato che quel ruolo implichi un conflitto con il carattere di nobiltà repubblicana che ha connotato il Pd fin dalle sue origini. Conflitto che nessuno ha voglia di portare fino in fondo. E che resta per così dire appeso a mezz’aria, dando vita a una contraddizione tuttora irrisolta. Così, ad ogni appuntamento si riproduce quella curiosa dicotomia tra un partito che vorrebbe essere custode delle tradizioni e un partito -lo stesso partito- che pretende invece di andare ben oltre quelle stesse tradizioni, fin quasi a rovesciarle.
Ora, Schlein può decidere di guidare il Nazareno con la prudenza del professionista. Oppure può decidere di cambiarlo da cima a fondo con l’impeto della dilettante, sia pure una dilettante di talento. Può essere la prima professionista della squadra o l’outsider che dà vita e forma a una squadra tutta diversa. Ma non può fare le due cose insieme, né farle a giorni alterni, ora l’una e ora l’altra. Se sceglie, rischia. Ma se resta in bilico rischia molto di più. E infatti ogni passaggio, da quelli più impegnativi (il voto in Parlamento sull’Ucraina) a quelli più simbolici (la sua candidatura al Parlamento europeo) e perfino a quelli più frivoli (l’adunata nel resort di Gubbio) si sta rivelando come un ostacolo sul suo cammino.
Non è chiara insomma la cornice dentro cui si svolge la politica del Pd. Che finisce così per diventare, suo malgrado, il vero “campo largo” di cui tanto si parla. Così largo da ospitare una discreta confusione sotto le sue bandiere. E non abbastanza largo però da potresti proporre prima o poi come un’alternativa possibile. Nel frattempo, la maggioranza ringrazia”. (di Marco Follini)