“Le nuove tecnologie, come ci ha insegnato la pandemia” di Covid-19, “avranno un ruolo sempre più importante. Io un futuro non così tanto lontano” per i pazienti con malattie infiammatorie croniche intestinali (Mici) “me lo immagino così: sicuramente la prima visita con lo specialista si fa di persona e non in telemedicina. Poi, al mattino il medico accede alla sua dashboard e si trova davanti un quadro di tutti i suoi pazienti”, con dati provenienti da “tecnologia indossabile, che già esiste. I pazienti sono monitorati con parametri oggettivi e su questa base il medico decide di convocare a visita quelli che lo necessitano e di non controllare il paziente che non necessita di particolare attenzione. Passiamo da un ‘approccio blockbuster’, in cui il malato deve andare sempre in ospedale, a un ‘approccio alla Netflix’, in cui cerchiamo di avvicinare il più possibile l’ospedale al malato e offriamo assistenza il più possibile vicino al suo domicilio”. E’ la visione di Salvo Leone, direttore generale dell’associazione Amici Onlus.
“Dobbiamo fare lo sforzo di pensare che la telemedicina non sia solo il teleconsulto”, è l’invito che lancia oggi durante l’evento ‘Made for Freedom’, promosso da Takeda per accendere i riflettori sui bisogni insoddisfatti dei pazienti e sulla di flessibilità delle terapie: un concetto che viene presentato anche in relazione alla nuova formulazione sottocutanea dell’anticorpo monoclonale vedolizumab, farmaco biotecnologico a selettività intestinale, già disponibile in formulazione endovenosa per il trattamento di pazienti adulti con colite ulcerosa o malattia di Crohn attiva da moderata a severa.
Telemedicina, fa notare Leone, è anche “sistemi di monitoraggio che controllino il paziente a 360 gradi, valutando come sta dal punto di vista clinico. Sono strumenti che non vanno a sostituirsi e non devono sostituire la normale visita, ma aiuteranno il medico per limitare l’afflusso in ospedale ai soli pazienti che necessitano veramente. Ci sarebbe così un miglioramento anche in termini di minori accessi, minori costi diretti e indiretti e anche minor rischio di infezioni correlate all’assistenza diminuendo gli accessi in ospedale attraverso lo strumento della visita da remoto”. Ma perché ciò si realizzi, avverte il Dg di Amici onlus, “il sistema deve cambiare completamente, perché non si può pensare di gestire certi dati su piattaforme di proprietà di colossi dell’informazione internazionali”.
Questo uso ‘intelligente’ della telemedicina “permetterebbe anche di abbattere tanto i costi”, continua Leone, citando un dato di uno studio dell’Enpam (Ente nazionale di previdenza e assistenza medici), che “già nel 2012 calcolava in 3 miliardi di euro il risparmio annuo derivato dall’uso di strumentazione digitale grazie alla deospedalizzazione di pazienti cronici resa possibile dalle tecnologie a supporto della medicina sul territorio e dell’assistenza domiciliare. E’ un elemento forte per il futuro”, incalza.
I medici oggi che tecnologia usano? Secondo il rapporto 2018-2019 dell’Osservatorio innovazione digitale in sanità del Politecnico di Milano, lo strumento più utilizzato per comunicare coi pazienti sono l’email (81% degli specialisti, 85% dei medici di famiglia) e Whatsapp per fissare e spostare appuntamenti, ma anche per lo scambio di dati e informazioni di tipo clinico (57% e 64%). Da questo punto di partenza, secondo il punto di vista dei pazienti con Mici, bisogna fare un passo in più.
In Italia “abbiamo fatto una valutazione con Altems”, l’Alta Scuola di economia e management dei sistemi sanitari dell’università Cattolica, “che ci dice che si spendono 746 euro l’anno per curarsi e, se si aggiunge la perdita produttività, o il fatto di essere accompagnati a visita da un proprio familiare, si arriva a costi per circa 2.300 euro. Sono costi – conclude il direttore generale di Amici Onlus – che vanno sicuramente affrontati e di cui ci dovremo occupare usando strategie, comprese le nuove tecnologie e la possibilità di aumentare la flessibilità nelle terapie e nelle modalità di somministrazione. Il mondo è cambiato, oggi comunichiamo e gestiamo le malattie in maniera diversa. L’unica cosa che non è cambiata sono i bisogni insoddisfatti dei malati. Dobbiamo trovare un modo per usare con moderazione e buonsenso quello ci mette a disposizione la tecnologia”.