(Adnkronos) – “Speriamo che Carlo torni al più presto, restare lì equivarrebbe a una condanna a morte. Deve fare la chemio, sottoporsi a un intervento delicatissimo. Sta peggiorando e devono operarlo, ma è giusto venga assistito in Italia e che rientri al più presto”. A dirlo all’Adnkronos è Juanita Costantini, la compagna di Carlo D’Attanasio, il velista di 54 anni detenuto ormai da 30 mesi nel carcere in Papua Nuova Guinea, in Oceania, con l’accusa di aver fatto parte di una banda di trafficanti che avrebbe importato 611 kg di cocaina.
Un caso controverso quello dell’ex imprenditore pescarese, sempre dichiaratosi innocente ed estraneo alle accuse. A D’Attanasio, a inizio marzo, è stata diagnosticata una massa tumorale al colon di 10 centimetri, con lesioni, che andrebbe asportata d’urgenza, come recita il referto dell’esame clinico a cui è stato sottoposto “con un forte ritardo che potrebbe rivelarsi fatale”, l’accusa mossa dalla madre del figlio di D’Attanasio. Oggi il ministro degli Affari esteri Antonio Tajani ha firmato la richiesta di rimpatrio per l’uomo, “e questo ci fa sperare che la vicenda, finalmente, si sblocchi”, confida Costantini.
Anche perché le condizioni di salute di D’Attanasio sarebbero critiche. “La colonscopia – dice all’Adnkronos la compagna dell’uomo, madre del bimbo di 6 anni avuto dalla relazione con l’imprenditore – doveva essere eseguita un anno e mezzo fa, ma Carlo è stato sottoposto all’esame soltanto nei giorni scorsi. L’esito purtroppo è terribile: ha una massa tumorale di 10 centimetri da rimuovere immediatamente, ma lì dove è detenuto non ci sono mezzi per sottoporlo a questo tipo di intervento. Temo per la vita del padre di mio figlio, spero venga riportato in Italia il prima possibile perché altrimenti questa storia rischia di finire malissimo. Il medico gli ha detto espressamente che se non viene operato da qui a breve ha i giorni contati. Non c’è altro tempo da perdere”, il grido d’allarme della donna.
D’Attanasio era partito per compiere il giro del mondo in barca a vela in solitaria nell’estate del 2019. Nel marzo del 2020 è approdato in Papua Nuova Guinea e ha deciso di fermarsi per una sosta che si è prolungata per 5 mesi, quando, in procinto di ripartire per portare a termine la sua impresa, un piccolo aeroplano si è schiantato sull’isola subito dopo il decollo. All’interno del velivolo la polizia ha rinvenuto 611 kg di cocaina, probabilmente destinati all’Australia.
Dopo una manciata di giorni sono stati fermati tre papua guinesi e D’Attanasio, indicato come l’uomo che aveva portato sull’isola il carico di droga 5 mesi prima. Il capo d’accusa per lui è di traffico internazionale di stupefacenti. Dopo alcuni mesi, però, le accuse cominciano a vacillare, la stessa stampa locale inizia a dubitare della colpevolezza dell’italiano. Eppure la situazione rimane in stand-by, il processo sottoposto a continui rinvii mentre D’Attanasio, costretto in una piccola cella fatiscente con altri detenuti, senza servizi igienici, ha iniziato ad accusare malori continui, dolori lancinanti.
Da qui la richiesta di essere sottoposto ad esami diagnostici, con tutti i ritardi del caso. A inizio marzo, dopo un anno e mezzo di attesa, la colonscopia ha confermato i sospetti: l’uomo non sta bene, ha un tumore di 10 centimetri che va asportato immediatamente. “Deve tornare in Italia al più presto ed essere curato, senza altro tempo da perdere – dice Juanita, anche lei pescarese, con la voce incrinata dalla disperazione – ogni giorno che passa la speranza che mio figlio possa riabbracciare suo padre si fa più flebile. E’ una lenta agonia, un incubo che va avanti ormai da 30 mesi. Eppure Carlo è un cittadino italiano, merita di essere aiutato, non può essere lasciato morire lì, sarebbe un’ingiustizia indegna di un Paese come il nostro. La richiesta di rimpatrio ci fa sperare, continuiamo ad essere qui, in attesa che Carlo possa tornare, in attesa che Carlo possa curarsi…”.