“Ogni intervento diagnostico, preventivo, terapeutico, di ricerca, cura e riabilitazione è rivolto alla persona malata, dove il sostantivo ‘persona’ viene sempre prima dell’aggettivo ‘malata’. Pertanto, il vostro agire sia costantemente proteso alla dignità e alla vita della persona, senza alcun cedimento ad atti di natura eutanasica, di suicidio assistito o soppressione della vita, nemmeno quando lo stato della malattia è irreversibile. Nell’esperienza del limite e del possibile fallimento anche della scienza medica di fronte a casi clinici sempre più problematici e a diagnosi infauste, siete chiamati ad aprirvi alla dimensione trascendente, che può offrirvi il senso pieno della vostra professione. Ricordiamo che la vita è sacra e appartiene a Dio, pertanto è inviolabile e indisponibile“.
Il prossimo 11 febbraio, ricorre la memoria liturgica della Madonna di Lourdes, ricorrenza alla quale è stata affiancata la ‘Giornata mondiale del malato’. Per l’occasione, incontrando i medici e gli operatori sanitari, Papa Francesco ha letto un messaggio dove, in osservanza ai dettami stabiliti dalla Chiesa cattolica, il Pontefice ribadisce il suo fermo ‘No’ sia all’eutanasia, che al suicidio assistito.
“La vita va accolta, tutelata, rispettata e servita dal suo nascere al suo morire – ha affermato Bergoglio – lo richiedono contemporaneamente sia la ragione sia la fede in Dio autore della vita. In certi casi, l’obiezione di coscienza è per voi la scelta necessaria per rimanere coerenti a questo sì alla vita e alla persona. In ogni caso, la vostra professionalità, animata dalla carità cristiana, sarà il migliore servizio al vero diritto umano, quello alla vita. Quando non potrete guarire, potrete sempre curare con gesti e procedure che diano ristoro e sollievo al malato”.
Una presa di posizione, quella della Chiesa, legittima in seno a quelli che sono le sue regole etiche, morali e religiose. Tuttavia c’è anche chi, come la co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni, Mina Welby, ha commentato alle parole del Pontefice, spiegando che “La professionalità medica prevede l’attenzione anche al malato in condizioni non più gestibili dal punto di vista della guarigione e del sollievo dalla sofferenza: in questa fase, è compreso anche il suicidio assistito che io preferisco chiamare morte volontaria assistita, richiesta dal malato terminale e rispetto alla quale il medico ha il dovere di agire. Esistono diversi metodi – tiene a sottolineare la Welby – non solo la prescrizione o la somministrazione di un medicinale che provoca la morte, ma c’è anche l’interruzione di terapie che la stessa Chiesa appoggia e prevede, lì dove il malato può rifiutare trattamenti sanitari non più utili per il suo benessere e cura o per superare le sofferenze non più arginabili, ovvero il cosiddetto accanimento terapeutico: il malato può chiedere di interrompere questi trattamenti e i medici possono e devono farlo, come è stato il caso di mio marito Piergiorgio Welby. E’ il malato che deve chiederlo – ribadisce la co-presidente dell’Ass. Luca Coscioni – non è il medico che deve decidere o che può rifiutarsi di agire: non si provoca la morte, ma si accetta di non poterla impedire”.
Max