Le sue braccia alzate sotto il cielo di Spagna sono ancora il simbolo di un’Italia ardita e vincente. Quelle braccia sono di Paolo Rossi, tanto magre che si fa fatica a capire da dove prendesse tutta quella forza. Era un ragazzo come tutti, così lo ha definito Antonello Venditti a poche ore dalla sua scomparsa. Perché Paolo Rossi non c’è più, si è spento a 64 anni dopo una lunga malattia.
Era un ragazzo come tutti perché tutti potevano sognare di essere come lui. Il più umano degli eroi, con un nome così comune e quelle gambe così esili ma capaci di cose fuori dal mondo. Paolo Rossi è diventato poi Pablito, eroe di una nazionale e di una nazione dopo la vittoria al Mondiale di Spagna dell’82.
Eppure a quel mondiale ha rischiato di non esserci per tanti motivi: per alcuni infortuni che lo avevano frenato nelle stagioni precedenti, soprattutto per lo scandalo calcioscommesse che lo ha fermato per quasi un anno. Ala guida di quell’Italia c’era Enzo Bearzot, disposto a tutto pur di aspettarlo. Anche di lasciare a casa il capocannoniere della stagione appena conclusa: Roberto Pruzzo, autore di 22 gol con la maglia della Roma.
Sotto il sole di Spagna Rossi è partito in sordina, poi è esploso all’improvviso: uno, due, tre gol: tutti al Brasile più forte di sempre. Nella partita che ha proiettato lui e l’Italia nell’Olimpo dei più grandi. Da lì non si è più fermato: ha fatto centro in semifinale e in finale con la Germania, è diventato simbolo della Nazionale campione del mondo.
Era uno dei preferiti del presidente Sandro Pertini, che gli suggeriva di stare attento alle gambe quando l’arbitro si girava. Il resto della sua vita lo ha dedicato al calcio, anche se l’idea di fare il tecnico non lo ha mai intrigato. Preferiva osservare e commentare come opinionista televisivo. Anche in quel contesto mai sopra le righe, sempre pacato. Non faceva pesare il suo nome, così comune ma allo stesso tempo importante. Scolpito, oggi più che mai, nella storia del calcio.