“La sera del 5 settembre scorso io ero in piazza a Colleferro insieme ai miei amici, ho visto Willy colpito al petto da un calcio e finire contro una Panda blu vecchio modello”. Così in aula un 23enne di Colleferro, tra i testimoni ascoltati questa mattina nell’udienza del processo per l’omicidio di Willy Monteiro Duarte in Corte di Assise di Frosinone.
Già sentito dai carabinieri di Colleferro il 14 settembre, nove giorni dopo i fatti, ha detto: “Quella sera ero arrivato al ‘due di picche’ verso le 23, ero con alcuni amici. Intorno alle 2 abbiamo deciso di andare a casa di un amico, ma in quel momento abbiamo sentito apprezzamenti fatti a una delle ragazze che erano con noi. Il suo fidanzato si è girato ed è andato a parlare con Francesco Belleggia e Mario Pincarelli (il primo aveva un braccio ingessato, l’altro una lacrima tatuata). Tra loro la discussione sembrava pacifica, poi quando tutto pareva finito, abbiamo notato che mancava Federico, il nostro amico, che abbiamo visto cadere a terra. Si è rialzato dicendo di esser stato colpito con un pugno al volto da Francesco Belleggia, che però nel frattempo si era recato nella piazza dei locali. Gli amici lo hanno raggiunto, era insieme a Pincarelli, hanno ripreso a discutere con toni accesi ma non c’è stata nessuna nuova aggressione”.
E continua: “All’improvviso ho notato salire una agitazione improvvisa, alcuni miei amici sono venuti verso di me dicendomi di andare via, ed è stato allora che ho visto Willy colpito da un calcio al petto da un ragazzo e sbattere contro una panda blu vecchio modello – dice il ragazzo – Conoscevo Willy di persona perché aveva frequentato la stessa scuola del mio amico, quello colpito dal pugno, quando si incontravano si fermavano sempre a parlare. Sapevo che Willy era intervenuto perché voleva cercare di capire cosa stesse succedendo al mio e al suo amico”. Sugli aggressori ha detto ancora al pm: “I due fratelli Bianchi avevano la fama di essere persone temute. Persone da cui tenersi a distanza. Si sapeva che era meglio non guardarli perché magari si rischiava di essere picchiati”.