Omicidio Pozzi, la figlia deve restare in carcere

La quarantacinquenne Simona Pozzi deve essere imprigionata come l’istigatore dell’omicidio del padre Maurizio, il commerciante di 69 anni ucciso nel suo appartamento in Via Gian Rinaldo Carli, Milano, il 5 febbraio 2016. La Corte di giustizia l’appello dei procuratori Alberto Nobili e Antonia Pavan contro il “no” all’arresto dal gip arrivato negli ultimi mesi.
Simona Pozzi rimane libera in attesa della sentenza della Corte Suprema, dato che la difesa ha impugnato.
Nel frattempo dalla sentenza della Corte emergono i dettagli della triste storia: la donna accusata “ha dato un suo padre alte dosi di tranquillanti”, in particolare le benzodiazepine, “per ’tenerlo bene’ ed evitare le esplosioni aggressivo che ha avuto quando è Arrabbiata “.
Simona Pozzi, a cui suo padre ha affidato la gestione del suo negozio di scarpe, tra le altre cose, “ritirò tutta la posta indirizzata ai suoi genitori”, ignara del fatto che sta accumulando debiti sui debiti e falsificato i documenti bancari che poi ha mostrato suo padre.

Il 5 febbraio 2016 Maurizio Pozzi, proprietario di un negozio di scarpe storico nel quartiere Affori di Milano – negozio dove sua figlia ha sempre lavorato – era tornato a casa nel pomeriggio. Il suo cadavere, quindi, era stato trovato dalla moglie in camera da letto con “otto ferite lacerate” sulla testa, inflitto “con un oggetto contundente”.
Inizialmente si presumeva una caduta accidentale a casa, ma subito l’autopsia aveva esaminato che si trattava di un omicidio. I sospetti, con il passare del tempo, si sono concentrati sulla loro figlia.