(Adnkronos) – Sedici enunciati per smontare l’impianto accusatorio nei confronti dell’ex comandante della caserma di Arce, Franco Mottola, del figlio Marco e della moglie Anna Maria, imputati nel processo per l’omicidio di Serena Mollicone, la giovane di Arce uccisa nel 2001. A presentarli in aula, davanti alla prima Corte d’Assise d’Appello di Roma, il criminologo Carmelo Lavorino, consulente di parte, affiancato da altri due consulenti della difesa, lo psicologo clinico Enrico Delli Compagni e l’ingegnere Cosimo Di Mille. In primis l’arma del delitto, che secondo Lavorino non ”può essere la porta” dell’alloggio a trattativa privata della caserma di Arce, un reperto ”rimasto alla mercè di tutti dal 2001 al 2008”.
”La dottoressa Cattaneo del Labanof di Milano (che ha realizzato la superperizia che fece riaprire le indagini, ndr.) dice che la frattura sulla porta è all’altezza di 1,54 da terra e che ciò coincide con l’altezza approssimativa di Serena, 1,55, che sarebbe stata sbattuta contro la porta. Noi diciamo che non è possibile, che non può essere vero che una ragazza come Serena, anche se spinta, possa aver procurato una frattura a un’altezza di 1,54, anche perché la ferita era sull’arcata sopraccigliare che è più in basso a 1,42”. Inoltre Lavorino ha sottolineato che ”i nastri adesivi” non contengono i frammenti lignei che in linea teorica dovrebbero provenire dalla porta.
Poi il focus sulla testimonianza del brigadiere Santino Tuzi, morto suicida nel 2008, dopo che aveva dichiarato di aver visto Serena entrare in caserma la mattina del 1 giugno 2001. “Il cuore pulsante della sentenza è la certezza che Tuzi abbia visto entrare in caserma Serena”, noi confutiamo questa certezza e diciamo che “Serena non è mai entrata in caserma”, dice Lavorino. ”Perché Tuzi tace per 7 anni? – si chiede – Tuzi è in caserma quando Guglielmo Mollicone va a denunciare la scomparsa di Serena, verso le 22.30 del 1 giugno, perché non gli dice di aver visto Serena la mattina?”.
Tra i 16 enunciati per confutare l’impianto accusatorio il criminologo contesta tra l’altro l’orario dell’ispezione cadaverica cominciata ”non alle 15.30, come aveva affermato il medico legale Conticelli ma alle 16.15 o alle 16.30”. ”La Conticelli – sottolinea – dice di aver cominciato l’esame ispettivo cadaverico alle 15.30 ma in realtà si sbaglia con il giorno dopo. Noi abbiamo le foto che ritraggono alle 15.45 del 3 giugno il furgone con il corpo di Serena partire da Fonte Cupa verso Sora e le foto dell’arrivo a Sora una mezz’ora dopo. Quindi l’ispezione sarebbe iniziata quasi un’ora dopo”.
Rispetto all’avvistamento di Serena da parte di Carmine Belli, il carrozziere processato e poi assolto per l’omicidio nei tre gradi di giudizio, Lavorino afferma che ”è da datare al 31 maggio e non al 1 giugno”. Inoltre, al terzo enunciato il criminologo dice che ”il corpo di Serena nel pomeriggio del 2 giugno non era nel luogo dove dopo è stato trovato” poiché due carabinieri che svolgevano un sopralluogo non lo videro”.
E poi il giorno del funerale di Serena: ”Il papà Guglielmo fu prelevato non su indicazione del maresciallo Mottola ma della procura”. Parlando di Marco Mottola Lavorino sottolinea inoltre che quel giorno non era biondo. E su maresciallo Mottola, dice: ”Non ha manipolato il telefono di Serena e non vi ha inserito in agenda il numero 666 come invece ipotizzato nell’informativa del 2018”.
Su Rosa Mirarchi, la donna addetta alle pulizie in caserma all’epoca del delitto, che in un primo momento aveva indicato la porta con la frattura, ha spiegato che pulì ”l’appartamento a trattativa privata il 4 maggio del 2001 quindi un mese prima dell’omicidio di Serena”.
E infine l’enunciato che sottolinea che ”sui reperti e sui luoghi del crimine degli imputati non ci sono tracce” degli imputati. Oggi in aula erano presenti il maresciallo Franco Mottola, il figlio Marco e i carabinieri Francesco Suprano e Vincenzo Quatrale. Assente Annamaria Mottola. La prossima udienza si terrà il 22 febbraio prossimo.
(di Giorgia Sodaro)