Rischiano ‘punizioni’ per le loro dichiarazioni gli atleti stranieri ai Giochi olimpici invernali di Pechino. E’ la Cina del caso Peng Shuai, la Cina di fronte alla quale gli Stati Uniti hanno annunciato il boicottaggio diplomatico delle Olimpiadi per mandare un messaggio sui diritti umani.
“Sono certo sarà protetta qualsiasi espressione in linea con lo spirito olimpico – ha detto Yang Shu, vice direttore generale per le relazioni internazionali del comitato organizzatore – Qualsiasi comportamento o discorso contrario allo spirito olimpico, soprattutto alle leggi e alle norme cinesi, sarà soggetto a determinate punizioni”.
Una formulazione, evidenzia il Washington Post, che sembra più rigida della regola del Comitato olimpico internazionale contro proteste politiche ai Giochi. Niente “manifestazioni o propaganda politica, religiosa o razziale”, la Regola 50.
Anche prima delle Olimpiadi di Tokyo, ricorda il giornale, il Cio aveva deciso di confermare il punto, ma le parole di Yang sollevano interrogativi sull’interpretazione e l’attuazione da parte di Pechino.
Anche perché Yang ha parlato di “discorso” che potrebbe essere sanzionato e ha citato la legge cinese, senza però voler rispondere alle domande su quale possa essere la sanzione massima. “Dipartimenti ad hoc” valuteranno eventuali casi, ha detto, convinto che “gli atleti, per partecipare ai Giochi olimpici, debbano seguire lo spirito e le disposizioni della Carta olimpica”. “La politicizzazione dello sport – ha affermato – è una delle cose contrarie alla Carta olimpica”.