Nella dopamina la chiave per diagnosticare l’Alzheimer 2 anni prima che si manifesti. E’ la conclusione di uno studio dell’Irccs Santa Lucia di Roma insieme all’Università Campus Bio-Medico di Roma e all’Università di Torino: i ricercatori hanno verificato il legame tra l’Alzheimer e le compromissioni dei circuiti dopaminergici in pazienti con disturbo cognitivo lieve, scoprendo appunto una finestra di intervento di 2 anni prima che la malattia si manifesti.
Lo stesso team, all’interno della Piattaforma integrata di ricerca tra Irccs Santa Lucia e Università Campus Biomedico, coordinata da Marcello D’Amelio, responsabile del laboratorio di Neuroscienze molecolari del Santa Lucia Irccs e professore ordinario di Fisiologia umana dell’Università Campus Biomedico, aveva individuato nel 2017 nell’area tegmentale ventrale (Vta), legata alla produzione di dopamina, uno dei primi eventi nel corso di sviluppo di malattia, mediante l’utilizzo di modelli sperimentali.
“La Vta – spiega D’Amelio – è rappresentata da un’area molto piccola, che conta circa 600-700mila neuroni, piccolo numero rispetto agli oltre 80 miliardi che compongono il cervello umano. Il nostro studio si è focalizzato sulle connessioni che si stabiliscono tra la Vta e il resto del cervello e come queste, a causa di un danno in Vta, si modificano nel corso di malattia. Il risultato, frutto di anni di ricerca, è stata la sorprendente capacità che lesioni della Vta hanno nel predire lo sviluppo della malattia di Alzheimer e l’obiettivo di quest’ultimo lavoro è stato di comprendere la finestra temporale che un’analisi della Vta è in grado di offrire prima che si sviluppino i sintomi della malattia”.
“Il setting sperimentale – racconta Laura Serra, del laboratorio di Neuroimmagini del Santa Lucia Irccs di Roma – ha previsto l’uso di neuroimmagini funzionali e test neuropsicologici, due tecniche indolori e non invasive con cui abbiamo analizzato l’attività della Vta in 35 pazienti con disturbo cognitivo lieve, un importante fattore di rischio per lo sviluppo della malattia di Alzheimer e di altre forme di demenza”.
“Abbiamo quindi monitorato per 24 mesi – prosegue – l’evolvere della condizione dei pazienti, riscontrando che, nell’arco dei primi 2 anni di osservazione, in 16 dei 35 pazienti il disturbo cognitivo lieve è convertito in malattia di Alzheimer, e questa conversione è stata anticipata da una significativa riduzione della connettività della Vta verso zone cerebrali critiche per i sintomi della malattia. Nei pazienti che non hanno sviluppato la malattia, invece, la Vta ha mantenuto inalterata la sua funzione”, sottolinea Serra.
Analizzando i risultati i ricercatori sono riusciti a confermare che la riduzione delle connessioni della Vta anticipa di circa 2 anni i danni ad altre aree del cervello e la comparsa dei primi sintomi clinici, una finestra temporale all’interno della quale è possibile l’utilizzo di farmaci volti a contrastare l’evolvere della malattia. “La persona che si accorge di manifestare i primi sintomi di un disturbo cognitivo – suggerisce il neurologo Carlo Caltagirone, direttore scientifico del Santa Lucia Irccs e coautore dello studio – ha oggi molti strumenti che può utilizzare per prendersi cura della propria salute”. Lo studio ha infine confermato la maggiore specificità di questa metodica nel diagnosticare con accuratezza la malattia di Alzheimer distinguendola da altre forme di demenza.