Era bastata una sigaretta per cambiargli improvvisamente in peggio la vita, e non ci riferiamo a un fatto di salute. La persona in questione, era un dipendente foggiano che, nel 2002, accusato “aver fumato durante l’attività lavorativa”, venne licenziato dalla sua azienda. Ed oggi, 15 anni dopo, con la sentenza 3733/2017 la Corte di Cassazione ha stabilito che per il fumatore avvenga il reintegro definitivo. Questo perché, si legge nella motivazione, licenziare un dipendente per aver fumato in azienda non è legittimo, e che la sanzione è quindi sproporzionata. Anzi, esagerata secondo la Cassazione, che la giudica incoerente con le previsioni contrattuali collettive che giustificano il licenziamento disciplinare. Come riporta il sito di informazione giuridica ’Studio Cataldi’, che ha pubblicato la vicenda, essersi acceso una sigaretta era solo una delle diverse mancanze contestate al lavoratore, come ad esempio, quella di inciampare “in un pallet e procurarsi volontariamente un infortunio”. Ma anche l’unica che aveva avuto in giudizio un effettivo riscontro mentre tutte le altre si erano rivelate completamente infondate. Così il lavoratore di Foggia, dopo la conferma del licenziamento nel 2002 da parte del tribunale, è ricorso e, sia la Corte d’appello che la Cassazione, hanno accolto la sua richiesta. Ora, sancita la sua reintegra nel posto di lavoro, la società datrice di lavoro dovrà risarcire il danno, commisurato alle retribuzioni globali maturate dal giorno del licenziamento fino al soddisfo.