(Adnkronos) – Per il boss della Locale di ‘ndrangheta a Roma Antonio Carzo era rischioso stare nella Capitale “dove erano stati trasferiti una serie di magistrati e di ufficiali di pg che avevano lavorato in Calabria e avevano combattuto a Sinopoli e Cosoleto contro la cosca Alvaro (“tutta la famiglia nostra”)”. E’ quanto si legge nell’ordinanza con cui il gip di Roma Gaspare Sturzo ha disposto 43 arresti eseguiti ieri nell’ambito dell’indagine della Dda della Capitale e della Dia, coordinata dai procuratori aggiunti Michele Prestipino e Ilaria Calò e dai pm Giovanni Musarò e Francesco Minisci, nei confronti della prima ‘ndrina calabrese attiva a Roma.
A parlare in un dialogo intercettato è proprio Carzo: “…comunque c’è una Procura… qua a Roma… era tutta la squadra che era sotto la Calabria. Pignatone, Cortese, Prestipino”. “Sono tutti qua”, interviene l’interlocutore. E il boss conclude: “E questi erano quelli che combattevano dentro i paesi nostri …Cosoleto … Sinopoli… tutta la famiglia nostra…maledetti”.
“Si deve evidenziare che già in una conversazione captata il 9 settembre 2017 Carzo, traendo spunto da un’iniziativa di Klaus Davi e poi commentando l’ergastolo comminato a Carlo Cosco a Milano e l’esito del processo ‘Aemilia’ a Bologna – scrive il gip – aveva sottolineato la necessità di stare ‘quieti quieti’, ritenendo evidente che in quel momento storico la magistratura e le forze dell’ordine avessero preso di mira la ‘ndrangheta (“ormai bisogna capire…c’è stato un periodo che hanno bersagliato i siciliani…Cosa Nostra…Cosa Nostra…e noi … sotto traccia facevamo … ora è da capire che ci hanno preso in tiro a noi calabresi e ora invece dobbiamo stare più quieti … quieti …” ), precisando che, comunque, ‘eh … eh … le cose si fanno …’”.