(Adnkronos) – Non l’adesione alla Nato, ma un “pacchetto” con tre “elementi” per “portare l’Ucraina più vicina” all’Alleanza. E’ quello che i leader dei 31 Paesi membri dovrebbero offrire tra oggi e domani al presidente Volodymyr Zelensky, nel summit dei capi di Stato e di Governo che si tiene a Vilnius, in Lituania, dove abbondano le bandiere ucraine e persino gli autobus portano la scritta “Lithuania loves Ukraine” sul pannello frontale.
Il primo elemento, come ha spiegato il segretario generale Jens Stoltenberg, sarà un programma “pluriennale” di assistenza per Kiev, focalizzato sulla “difesa” e sulla “sicurezza”, inclusi gli “ospedali militari”, sempre più necessari in una guerra di attrito, che miete vittime e produce feriti a ritmi industriali. Il programma aiuterà anche Kiev a compiere la necessaria “transizione” dagli equipaggiamenti dell’era sovietica agli standard Nato. Secondo, verrà creato un Consiglio Nato-Ucraina, che si riunirà mercoledì per la prima volta, con la partecipazione del presidente Zelensky, che avrà un forte significato simbolico. Il Consiglio Nato-Ucraina sarà “una piattaforma per le consultazioni in tempo di crisi e per prendere decisioni”. Terzo, i leader alleati riaffermeranno che “l’Ucraina diventerà un membro della Nato” e che sono “uniti su come portare Kiev più vicina a questo obiettivo”. Su questo punto cruciale, Stoltenberg non è sceso nei dettagli, ma ha rimandato alle conclusioni del summit che saranno concordate dai leader. La memoria corre al summit di Bucarest del 2008, con l’assicurazione a Georgia e Ucraina che sarebbero diventate membri della Nato, senza precisare quando né come, quello che alcuni studiosi hanno definito “il peggio di entrambi i mondi”, perché ha lasciato i due Paesi in mezzo al guado. Tanto che c’è chi parla di una Bucarest 2.0.
A quanto si apprende a Bruxelles, malgrado le diverse sensibilità tra gli europei condizionate dalla vicinanza geografica alla Russia, si fa sempre più strada tra gli alleati la consapevolezza che il posto di Kiev è nell’Alleanza. Gli argomenti a favore della neutralità sono stati indeboliti dall’invasione russa, la controprova che mantenere l’Ucraina nella ‘zona grigia’ ha portato alla guerra. Paradossalmente, ora che Vladimir Putin ha attaccato, chi nell’Alleanza era perplesso su un ulteriore allargamento verso est ha meno argomenti per opporsi, dato che la neutralità ha portato i russi ad invadere il territorio ucraino.
Sulle modalità dell’ingresso nell’Alleanza, il discorso è diverso ma, finché la guerra è in corso, l’adesione non può avvenire, perché per la Nato comporterebbe entrare in conflitto con la Russia. È presto comunque per fare previsioni: bisognerà vedere quando e soprattutto come finiranno le ostilità. Tutti, anche gli ucraini che non possono dirlo apertamente perché stanno combattendo una guerra che deciderà i destini della loro nazione, sanno che a un certo punto bisognerà trattare, tanto più che la controffensiva, anche se non avrebbe ancora raggiunto il culmine, fatica a sfondare, a causa delle mine piazzate dai russi e dell’allagamento causato dal crollo della diga sul Dniepr. Tanto è stata avventurista la prima offensiva, tanto è efficace il ripiegamento difensivo messo in atto dai russi in questa fase, osserva una fonte.
La controffensiva ucraina, ha spiegato il capo del Comitato Militare della Nato Rob Bauer in un briefing a Bruxelles, è “difficile”, anzitutto perché le operazioni belliche non sono “mai una passeggiata”. Tanto più che i russi hanno realizzato “notevoli ostacoli difensivi”: a volte si trovano solo un “paio di km, altre volte 30” di “campi minati”, dopodiché ci sono seconde e terze linee. Conquistare terreno in queste condizioni è un’operazione “difficile” per gli ucraini, come sarebbe per tutti. “Lo abbiamo visto in Normandia durante la Seconda Guerra Mondiale – ricorda Bauer – quando agli Alleati occorsero sette, otto, nove settimane per spezzare le linee difensive dei tedeschi”.
Per la collocazione internazionale dell’Ucraina saranno decisive la fine del conflitto e le sue modalità. Se finisse con un armistizio ‘alla coreana’, senza un trattato di pace, come si ipotizza da qualche mese, allora le soluzioni potrebbero essere diverse. Il segretario generale, in ogni caso, si è detto “fiducioso” che verrà trovata una soluzione “unitaria” sul “linguaggio” che verrà usato nel comunicato dei leader, ma non ha citato date, né scadenze temporali. I leader dei 31 Paesi dovranno quindi trovare una formula che tenga insieme le posizioni degli Stati del fianco Est, più favorevoli all’adesione dell’Ucraina, con quelli più a ovest. Quel che è certo, e su questo tutto gli alleati sono concordi, è che occorre sostenere Kiev, perché se dovesse vincere la Russia, non ci sarà alcuna adesione alla Nato da discutere. Per dirla con l’ammiraglio Bauer, se la Russia vincesse, non sarebbe “la fine dell’instabilità”, ma “l’inizio di più instabilità”, dato che i russi “vogliono tornare ai confini del 1997”, che comprendono nazioni “in cui abbiamo otto battaglioni: i Paesi Baltici, Polonia, Slovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria. Questo per noi è inaccettabile”.
In ogni caso, la guerra in Ucraina e la rinata aggressività della Russia costringono l’Alleanza, che nel 2019 era data in stato di “morte cerebrale” dal presidente francese Emmanuel Macron, a ripensare i suoi piani di difesa. Gli alleati, ha detto Stoltenberg, appoggeranno “tre nuovi piani regionali” per la difesa e la deterrenza, con l’obiettivo di affrontare le due minacce più grandi che l’Alleanza ha di fianco: la Russia e il terrorismo. Il primo piano, che avrà il comando a Norfolk, in Virginia (Usa), coprirà “l’Atlantico e l’Artico europeo”; il secondo, che avrà il comando a Brunssum, in Olanda, coprirà “l’Europa Centrale e l’area del Baltico”; il terzo, con centro a Napoli, difenderà “il Mediterraneo e il Mar Nero”. Certo, ha spiegato l’ammiraglio Bauer, non sono cose che si fanno “in un attimo”. Per eseguire questi piani, e dissuadere la Russia dall’idea di tentare qualche avventura, la Nato “metterà 300mila soldati in stato di maggiore prontezza” al combattimento, “inclusi cospicui mezzi navali e aerei”.
I Paesi della Nato, ha spiegato Bauer, “capiscono le loro responsabilità di partecipare e di assicurarsi la nostra capacità collettiva di difenderci sta aumentando. Ma c’è del lavoro da fare. Quindi si dirà ‘non sono proprio 300mila’. È vero, perché lavoreremo per arrivare a quei numeri. Non sono cose che si fanno schiacciando un pulsante”. Ad oggi le truppe rapidamente mobilitabili da parte degli Alleati ammontano a circa 40mila uomini. Non solo. Per rimediare ai tagli pluridecennali alla difesa che hanno fatto seguito alla fine della Guerra Fredda in Europa, i leader a Vilnius dovrebbero anche appoggiare un piano di azione per la produzione nella difesa, volto ad aggregare la domanda, aumentare la capacità produttiva, aumentare l’interoperabilità. Un piano che verrà affiancato dall’Asap dell’Ue, volto a sostenere l’aumento della produzione di munizioni, sul quale Consiglio e Parlamento hanno trovato l’accordo in trilogo e che verrà votato questa settimana prima in commissione e poi in plenaria.
A conferma del lento risveglio alle dure realtà della geopolitica dell’Unione Europea, anche la presidente Ursula von der Leyen parteciperà al summit della Nato, nella seconda sessione: la partnership tra Ue e Nato ha raggiunto “livelli senza precedenti”, secondo il segretario generale. Ci saranno anche i leader di Australia, Nuova Zelanda, Giappone e Corea del Sud, perché la sicurezza “è globale”, come ha sottolineato Stoltenberg. Per finanziare tutte queste attività, in particolare il riposizionamento strategico della Nato e il sostegno a lungo termine all’Ucraina, occorreranno fondi ingenti. Undici Paesi membri su 31 spenderanno almeno il 2% del Pil nella difesa nel 2023, e nel 2024 il numero degli alleati sopra questa soglia aumenterà in modo “sostanziale”.
L’impegno di arrivare a spendere il 2% del Pil nella difesa era stato preso nel Galles nel 2014, e prevede come scadenza il 2024, l’anno prossimo. Alcuni Paesi sono ancora molto sotto e assai difficilmente lo raggiungeranno nel 2024: tra questi l’Italia, che spenderà nel 2023 l’1,46% del Pil nel settore militare. In realtà l’Italia era arrivata all’1,6%, ma poi l’economia è andata meglio del previsto, il Pil è cresciuto e quindi la spesa militare, calcolata in percentuale sul Pil, è diminuita. Per l’Italia, inoltre, il percorso concordato per arrivare al 2% scadrà nel 2029 (per il Portogallo nel 2030), quindi lo ‘spin’ secondo il quale non rispetteremmo una specie di ‘Maastricht della Nato’ non è veritiera. È vero che l’Italia, avendo vincoli di bilancio dettati da un debito pubblico importante e da regole Ue obsolete o comunque inadatte ai tempi, fatica più di altri ad aumentare la spesa, non solo nella difesa, ma è anche vero che già con Lorenzo Guerini si è introdotta una programmazione pluriennale della spesa militare, che ha portato ad un aumento dei budget.
Intanto, alla Nato sono stati fatti “buoni progressi” per un nuovo impegno di spesa che renda il 2% del Pil non più un obiettivo, ma una “base” minima da cui partire, ha detto Stoltenberg. Alcuni alleati spingono per il 3%, ma a quanto si apprende a Bruxelles è difficile che passi questo nuovo target. Ci sono Paesi che spendono più del 3% (la Polonia, per ovvi motivi, è prima, al 3,9%) nella difesa, ma poi faticano a trovare soldi per altro. Un conto sono le opinioni pubbliche a est (Varsavia e Vilnius sono pavesate di bandiere ucraine gialle e azzurre), un altro quelle a ovest. Portare il 2% del Pil ad essere la base, ha spiegato l’ammiraglio Bauer, sarebbe certamente “un cambiamento” e costituirebbe il “riconoscimento del fatto che un certo numero di cose sono cambiate: l’atteggiamento della Russia è cambiato completamente; ci sono due nuovi domini, lo spazio e il cyberspazio”. Alla luce della guerra in Ucraina “vedremo più investimenti anche nella difesa aerea”, prevede l’ammiraglio.
Una cosa chiara a tutti è che la spesa militare in Europa deve non solo crescere, ma anche essere razionalizzata. Ora che anche l’Ue, nata come progetto di pace, inizia ad occuparsi di armi, bisogna evitare di spendere da entrambe le parti, Nato e Ue. Non sarà un compito semplice e l’Europa, non essendo uno Stato nazionale, spenderà sempre più di altri, perché ogni Paese ha il suo Stato maggiore, le sue forze armate, i suoi servizi segreti. Ma una priorità assoluta è rimettere in carreggiata l’apparato produttivo, indebolito dai disinvestimenti seguiti alla fine dell’Urss e dalle previsioni sbagliate su come sarebbe stata la guerra del XXI secolo: la carenza di munizioni da fornire all’Ucraina (non solo in Europa, anche negli Usa) è dovuta alla convinzione, rivelatasi errata, che non sarebbero servite.
Per Bauer, non basterà la spesa pubblica: c’è bisogno anche “del settore privato. Dobbiamo convincere le persone che hanno i soldi: i soldi li abbiamo, ci saranno soldi a sufficienza per investire in difesa. Non è questo il problema. Ma dobbiamo convincere” gli investitori “che la capacità produttiva va aumentata ora. E non è una cosa che si può ordinare, perché non abbiamo un’economia statalizzata, abbiamo un’economia liberale. Quindi, dovremo convincere le persone a fare investimenti, e ci vorrà tempo”. La Nato si prepara ad una sfida di lungo periodo, perché il ritorno della Russia che reclama l’impero perduto potrebbe non essere destinato ad esaurirsi rapidamente. L’Alleanza, ha spiegato Bauer, continua a considerare la Russia come una “minaccia seria”, specialmente “nell’aria e in mare. E nello spazio, dove sono ancora molto, molto capaci, per non parlare del nucleare”. Insomma, “non sono alti tre metri, ma neanche 60 cm. Non dovremmo mai sottovalutare i russi e la loro capacità di recuperare, come hanno dimostrato nella storia un paio di volte”.
Alla Nato è stato tolto dal tavolo, almeno per ora, il problema del segretario generale: Stoltenberg, che pareva destinato a uscire di scena (ha ribadito fino allo sfinimento di essere intenzionato a lasciare ed era seriamente intenzionato a tornare in Norvegia), è stato riconfermato dagli Alleati per un altro anno. Mancando un candidato italiano, che a quanto si apprende a Bruxelles avrebbe messo d’accordo tutti, o altre figure in grado di raccogliere l’appoggio dei 31, gli Usa hanno preferito tenere Stoltenberg fino al prossimo ottobre. Se si riuscirà a trovargli un successore prima dell’estate prossima, con l’ordalia della nomina delle cariche Ue in pieno svolgimento, è tutto da vedere. La candidatura dell’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone alla guida del Nato Military Committee è una partita separata, che si deciderà più avanti.
(dall’inviato Tommaso Gallavotti)